Cultura e Spettacoli

Prima di mettersi "sulla strada" Kerouac esaltava il capitalismo

Fra gli scritti rari e non pubblicati raccolti ora in volume c'è un convinto elogio della società statunitense del 1946

Prima di mettersi "sulla strada" Kerouac esaltava il capitalismo

Quello che di uno scrittore non è stato pubblicato in vita si chiama inedito. Nel caso di Jack Kerouac, «icona della letteratura americana, un eroe culturale» così lo omaggia, con trombe in resta, Esquire l'inedito si chiama reliquia.

Per capire l'entità della reliquia dobbiamo andare in Messico. Siamo nel 1952, tra il 16 e il 21 dicembre. Kerouac è nella casa messicana di William S. Burroughs. L'anno prima, in quella stessa casa, Burroughs ha fatto fuori la moglie: giocava a fare Guglielmo Tell, aveva piazzato una mela sulla testa della consorte, armò la pistola e le fece esplodere il bel visino. A gennaio Kerouac fa il resoconto della sua gita a Neal Cassidy. «In Messico, quando te ne sei andato, in cinque giorni, ho scritto, in francese, un racconto che parla di me e di te, nel 1935, quando eravamo bambini, e di mio padre e di tuo padre e di una manciata di biondine assai sexy in una stanza da letto franco-canadese». Neal Cassidy, come si sa, è l'amico-guru di Kerouac, quello che gli ispira il personaggio di Dean Morarty, il protagonista di Sulla strada, romanzo di culto, scritto di getto nel 1951, poi rivisto, infine pubblicato sessant'anni fa, nel 1957. Ciò che c'interessa, nella lettera, per l'appunto, è la chiosa finale, «te lo mando appena tradotto, è la soluzione alla trama di On the Road». La chiosa fa esultare Jean-Christophe Cloutier «abbiamo trovato l'anello mancante per capire l'evoluzione di On the Road» che insieme a Todd Tietchen ha curato per la Library of America The Unknown Kerouac (pagg. 500, $ 35), raccolta di «scritti rari e impubblicati» del più famoso e frainteso scrittore americano del Novecento.

In realtà quella specie di Ur-On the Road, o meglio visto che è stato scritto dopo di spin off o di Post-On the Road, che s'intitola Sur le chamin, non è una novità. Della sua esistenza come di quella dell'altro testo in francese, La nuit est ma femme, spacciato come inedito si sa dal 2008, quando Le Monde intervista la giornalista canadese Gabriel Anctil, autrice della fausta scoperta: «In Sur le chamin Ti-Jean, che è lo pseudonimo di Kerouac, ha 13 anni. Racconta di un ragazzino di Denver, Dean Pomeray, che raffigura Neal Cassidy. I temi di questo racconto s'incrociano con quelli di On the Road, l'ideologia del vagabondaggio, ad esempio, è prevalente». Tutto chiaro. Fin dall'incipit. «Nel mese di ottobre del 1935 una macchina sfreccia da Ovest, da Denver, verso New York. Nella macchina c'è Dean Pomeray, una femminuccia; poi ci sono suo figlio Dean Pomeray Jr. e il fratello di nove anni. Guidano una vecchia Model T della Ford e hanno gli occhi fissi sul parabrezza, che sfondano l'immensità della notte».

Già, Jack Kerouac, che in realtà si chiama Jean-Louis Lebris de Kérouac, scriveva in francese. Nato a Lowell nel 1922 da immigrati franco-canadesi, «come altri celebri scrittori del XX secolo, come Joseph Conrad, Vladimir Nabokov e Samuel Beckett, Kerouac ha scritto i suoi capolavori in una lingua adottata» (Cloutier). E ha continuato «a scrivere diverse cose, poi dimenticate, in francese», fino a diventare, a posteriori, uno dei grandi scrittori del Canada francese, «il suo linguaggio è unico nella letteratura del Québec» (Anctil). Così, insomma, gli scritti con la mano sinistra una reliquia anch'essi del più influente narratore americano del secolo scorso bastano a farne uno dei grandi scrittori del Canada. Miracolo Kerouac, che è riuscito a trasmutare la vita grama del vagabondo si dice hobo laggiù in reddito.

Le ciliegine del volume che promette di mostrarci un «Kerouac sconosciuto», però, sono altre. Sono due testi del 1946. Il primo è un'ode spericolata On Frank Sinatra. La voce della Beat Generation si riconosce in The Voice, il cui «successo come cantante non è dovuto al fatto che piace alle ragazzine» ma alla capacità di sintonizzarsi con «i giovani americani, tristi, trasognati, stanchi», all'intensità con cui si immerge «nella nostra abissale malinconia». Ancora più bello il testo-manifesto America in World History, in cui un Kerouac «giovane e insoddisfatto» allinea una serie di concetti che giustificano un assunto assoluto: «l'America ha una cultura e una civiltà diverse dall'Europa occidentale più giovane, con un destino ancora incompiuto, non pietrificato nella decadenza di un'antica civilizzazione». Intanto, «l'anima americana è incalcolabilmente nuova nella sua originalità e impulsività», lo dimostra «quanto ha fatto l'America sviluppando l'industria europea: produzione di massa di automobili e aeroplani, impensata in Europa». Mentre gli «intellettuali europei» continuano a sfottere gli americani per la loro «ingenuità, invidiosi della giovinezza della nostra cultura», l'America partorisce una letteratura Kerouac cita «Emerson, Thoreau, Twain, e giù fino a Walt Whitman e Thomas Wolfe» che «è una affermazione continua della sua singolare grandezza». Ma la differenza radiosa del modello americano rispetto a quello della decrepita Europa, secondo il giovane Kerouac, sta nella «profonda presenza del capitalismo nello stile di vita americano», a differenza del diffuso «socialismo in Inghilterra e in Europa e del Comunismo nell'Est Europa e in Cina».

Proprio il capitalismo «è il puro segno dell'autonomia americana, dell'irreversibilità della sua anima» del suo «robusto individualismo». Al contrario, «tutto ciò che in America è di sinistra è europeo nelle origini e nei fini». E lo dice uno che è stato brandito e ci è stato rifilato come il santino del ribellismo e dell'anticapitalismo.

Ecco, usiamo queste reliquie di Kerouac per infrangere il santino costruito sul tavolo da obitorio della cultura italiana.

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