Cultura e Spettacoli

"La mia vera libertà l'ho conquistata ben lontano dai salotti"

L'artista pubblica un cd con Francesco Baccini: «Sono stato penalizzato? Sì ma non mi importa»

"La mia vera libertà  l'ho conquistata ben lontano dai salotti"

Tanto per iniziare, ce ne fossero come Sergio Caputo, poco piacioni ma molto piacevoli da ascoltare: nella sua vita in salita (come quelle degli artisti di una volta) ha avuto quasi tutto e il suo contrario. Il successo con Sabato italiano e Italiani mambo, l'irrequietezza creativa, l'ostinata diffidenza per i salotti ricambiata dall'ostinato disinteresse dei grandi media, il successo di culto negli States (il disco That kind of thing è stato tra i 50 più ascoltati nel circuito smooth jazz) e la continua voglia di rinascere. «Vivere per dodici anni a San Francisco mi ha aiutato a reimparare il mio mestiere», spiega oggi a bordo di un altro progetto che a inizio ottobre diventa un disco. «Chewing gum blues raccoglie i brani composti con Francesco Baccini e abbiamo già pubblicato il brano Le notti senza fine». Il super duo, questo degli Swing Brothers, è nato da un sogno (di Caputo) e da un incontro (sui social) che ha battezzato una coppia imprevedibile solo all'apparenza. Entrambi cresciuti nella culla swing blues. Entrambi ostinatamente liberi. «Sono indipendente dagli anni Novanta e da allora, senza dover presentare il compitino discografico ogni anno, ho iniziato a vivere meglio».

E ora come vive?

«Come uno che, quando scrive un brano, si chiede sempre se tra dieci anni varrà ancora qualcosa».

Cosa pensa oggi della musica italiana?

«Non la seguo molto, diciamo che Baccini è più informato di me... Il panorama mi sembra comunque controllato da ben precise entità musicali».

Ma perché si è trasferito a San Francisco?

«Perché sono irrequieto, qui mi sentivo intrappolato. Avevo sposato un'americana dalla quale poi mi sono separato e poi mi sono risposato in Italia con Cristina che, dopo Lucrezia di 5 anni e Victor, di 4 anni, due mesi e mezzo fa mi ha fatto diventare di nuovo padre: si chiama Ludwig, ».

Ora ci sono anche gli Swing Brothers.

«Non è facile fare dischi in italiano quando il pubblico pare non abbia più memoria dei cantautori storici».

Si sente penalizzato da non aver mai cercato la «benedizione» dei salotti radical chic?

«Mi porto dietro il peccato originale di essermi dissociato - quando andavo al liceo - da gruppi come Potere Operaio e Lotta Continua che avevano dichiarato guerra allo Stato fino a sfociare nelle Brigate Rosse. Questa ribellione, che era in difesa della democrazia e non viceversa, mi ha collocato su posizioni anticomuniste».

Poi?

«Dopo il successo, i circuiti culturali di sinistra mi hanno ostracizzato».

Sono sentenze talvolta inappellabili.

«Però, dopo la scuola, sono stato hippie, di sinistra, radicale, nichilista, buddista e ho fatto miriadi di Festival dell'Unità».

Però tanti l'hanno etichettata come «di destra».

«Ma quando la destra ha controllato, per esempio, la Rai, non sono di certo mai stato favorito e a Sanremo sono andato per l'ultima volta nel 1998».

A proposito all'ultimo Festival il vincitore Francesco Gabbani ha cantato la cover Susanna, brano di cui lei ha scritto il testo per Adriano Celentano.

«Mi chiamò Caterina Caselli per chiedermelo per il giorno dopo. Ho bevuto due bottiglie di whisky e gliel'ho spedito in tempo. All'Ariston, Gabbani mi è piaciuto molto. Non faccio mai quel brano ma sarebbe divertente cantarlo con lui».

Nel 2018 saranno 35 anni da Un sabato italiano.

«E, se sono ancora qui, vuol dire che sono stato seguito da persone di sinistra, di destra o di nulla, cui poco importano le mie visioni politiche».

Intanto esce il disco, farete concerti e la sua versione jazzata di Sabato italiano è la sigla del programma omonimo di Eleonora Daniele dal 23 su Raiuno.

«Nella prima puntata ci sarò anche io».

E Sergio Caputo oggi?

«Mi sono riscoperto liberal e ho capito di esserlo sempre stato. Negli States potevo votare e ho scelto Obama, anche se ora non lo rifarei. In ogni caso, alla domanda se sono stato penalizzato, rispondo sì. Ma c'è un'altra domanda da farmi».

Quale?

«Te ne è mai importato qualcosa?».

E la risposta qual è?

«Assolutamente no. Talvolta ho pensato di tirare fuori qualche invettiva contro chi mi ha penalizzato.

Ma ai miei concerti, come l'altra sera a Pavia, vedo anche teen ager e, per chi è in giro da quando manco erano nati, questa è la soddisfazione più grande».

Commenti