Cultura e Spettacoli

Ozpetek: "La mia Violetta entra nell'anima dello spettatore"

Ferzan Ozpetek mette in scena la Traviata che inaugura la stagione del San Carlo

Ozpetek: "La mia Violetta entra nell'anima dello spettatore"

Ferzan Ozpetek è cresciuto ad Istanbul «in un quartiere dove il canto del muezzin si mescolava al suono delle campane, dove turchi, greci e armeni hanno vissuto per secoli assieme». La metropoli sul Bosforo, millenario ponte di civiltà, è terra di forti contrasti, piena di sorprese. «La festa del Natale è molto seguita dai turchi che vanno ad assistere a quei riti. Come si fa a non rimanerne affascinati? Mi sono avvicinato all'arte attraverso quello che vedevo nelle chiese».

Il filo rosso che ha guidato il blasonato regista turco nel reame dell'opera parte dalle strade di Istanbul.
«Quando preparavo il mio secondo film Harem Suaré, ho trovato all'improvviso nel palazzo di Yildiz, un teatro. Il sultano ottomano lo aveva fatto costruire perché amava così tanto l'opera da imparare l'italiano. Manteneva una compagnia fissa: scenografi, costumisti, tutto. Però odiava i finali tragici e li cambiava. Nella Traviata, per esempio, Violetta non moriva: una provvidenziale medicina la rinvigoriva. Si alzava e tornava alla vita».

Fra i suoni dell'infanzia di Ozpetek, la voce materna. Studiò canto, ma non proseguì.
«Mia madre si è portata dietro la malinconia dell'occasione perduta. Destino opposto a quello di una cantante che è un punto di riferimento e di orgoglio per ogni turco, il soprano Leyla Gencer».

Ferzan Ozpetek invece ha colto l'occasione con uno splendido debutto in Aida al Maggio Musicale Fiorentino.
«E quando entri in quel mondo con una guida paterna come Zubin Mehta, l'opera ti prende, ti travolge: entri in un reticolo di emozioni che non finiscono più».

A Roma vive, a Firenze ha debuttato, a Napoli inaugura stasera la stagione del San Carlo con «Traviata»: itinerario degno di Stendhal.
«Traviata mi mette molta paura. È una delle opere più amate, più conosciute. Un grande direttore d'orchestra - di cui non faccio il nome - mi ha esortato alla lettura. Dopo il romanzo di Dumas figlio e il libretto di Piave, ero emotivamente distrutto».

Ozpetek ha incontrato un maestro che di Traviata sa tutto, Franco Zeffirelli, il risultato è stato un consiglio: «Tu che sei un regista di attori, cura la recitazione. Il resto viene naturalmente».
«Lavoro molto sulla natura degli attori, sui loro movimenti. Non è il cantante che deve entrare nel personaggio, ma Violetta, Alfredo, Germont si devono avvicinare ai tre interpreti che sono i bravissimi Carmen Giannattasio, Saimir Pirgu, Vladimir Stoyanov».

In Traviata la chiave di volta è il duetto Violetta-Germont.
«Un incontro ispiratissimo e sensuale. Germont è un antico cliente di Violetta. Sono invaghito da Germont, il tipo del moralista comprensivo: lui le impone un atto doloroso, ma gli dispiace moltissimo. Al momento di dirsi addio, Germont improvvisamente abbraccia forte Violetta. Non sono più cliente e prostituta, ma due persone che si ammirano».

E il rapporto croce e delizia di Violetta con Alfredo?
«Alfredo è un puro. In famiglia e nell'ambiente di Violetta è un pesce fuor d'acqua. Reagisce come un bambinone. Quando si arrabbia nella festa di Flora, strappa il vestito di Violetta che cade per terra. Le getta il denaro pezzo per pezzo, in modo straziante, mentre vediamo scendere Germont che si toglie il mantello per coprirla. Alla fine Violetta si alza, a testa alta, senza guardare nessuno, fa cascare il mantello, e scompare».

Poi c'è la corda più intima di Verdi: padri e figli.
«Mentre Germont canta Di Provenza il mare, il suol, ho voluto che il padre si allontanasse all'improvviso, per attirare di più l'attenzione del figlio. Poi, pian piano, Germont si gira verso Alfredo, si avvicina, gli prende la mano, e vanno verso il boccascena. Mi piace che gli attori-cantanti guardino e si rivolgano al pubblico, che così si sente coinvolto».

In ogni atto Violetta mostra un lato diverso del carattere e della vocalità.
«Ci sono tre Violette diverse. La prima, leggera. Fa il suo mestiere. Nel secondo atto c'è una donna cosciente a cosa va incontro. Quando decide di scrivere ad Alfredo prende uno specchietto e si mette un rossetto esagerato. L'ultimo atto è una sorpresa. Tutto spoglio. C'è un lettino illuminato. Violetta si sveglia, sente la città lontana, la malinconia della solitudine, fuori la vita impazza».

L'impostazione temporale di Ozpetek - il primo decennio del Novecento - ci ha fatto pensare a Montale che in occasione della Traviata alla Scala, direttore Karajan, regista Zeffirelli, scrisse citando Proust: «La Traviata va all'anima e ha dato stile alla Dama delle camelie di Dumas».

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