Cultura e Spettacoli

Milano, ecco l'altro Duomo. È astratto e l'ha dipinto un nigeriano: Odili Odita

Milano, ecco l'altro Duomo. È astratto e l'ha dipinto un nigeriano: Odili Odita

Nel 2003 il New Museum di New York allestì una mostra davvero memorabile dedicata alla cultura africana sulla soglia del terzo millennio: Black President, un omaggio allo straordinario musicista nigeriano Fela Kuti, inventore dell'Afro Beat e riconosciuto tra i personaggi più influenti della cultura nera.

A quella mostra partecipò Odili Donald Odita, nigeriano anche lui, la cui pittura astratta ma sul significato del termine bisogna comunque intendersi- muovendo così i primi passi di una carriera ricca di successi, compreso l'invito alla Biennale di Venezia nel 2007 sotto la direzione di Robert Storr.

Non sono comunque state troppe le occasioni di ammirarne il lavoro in Italia; per questo la sua personale a Milano (Odili Odita alla M77 Gallery, via Mecenate 77, fino al 17 settembre; a cura di Robert C. Morgan e Michele Bonuomo) è davvero una primizia. Nato nel 1966, Odita fa appena in tempo a trasferirsi bambino in America prima che fossero chiusi al traffico gli aeroporti del suo Paese. Si è poi trasferito a Filadelfia e ha cominciato un attento studio sulla pittura, unendo la matrice calda a una riflessione tutta concettuale sul minimalismo americano. Kenneth Noland, la Frankhentaler, Ellsworth Kelly sono i suoi punti di riferimento più evidenti. Né può essere tralasciata l'influenza africana, in particolare nel rapporto tra la pittura e il jazz, le cui improvvisazioni vengono tradotti in larghe campiture di colore che di fatto costituiscono la sua cifra e il suo stile.

Da M77 Odita ha realizzato un lavoro site specific sul muro frontale della galleria, una grande installazione intitolata Duomo, Duomo che recita il suo omaggio cromatico a Milano. Il nuovo ciclo di quadri riprende un termine introdotto nella filosofia di Lyotard, Differend, che lo studioso francese utilizzava, spiega Morgan nel testo in catalogo, "per descrivere quel conflitto determinato, quel dissenso puntuale, che sorgerebbe tra parti opposte laddove la possibilità di soluzione sia giunta a uno scacco". Una visione del tutto postmoderna che, a distanza di decenni, ancora funziona nell'arte.

Il consenso che un pittore come Odita sta ottenendo in ambito internazionale è certo conseguenza di quel fenomeno della globalizzazione che ha completamente modificato la carta geografica dell'arte. In un territorio dove i conflitti, anche i più aspri, possono essere superati da una visione orizzontale seppur non consolatoria, non ha forse più senso parlare di identità nazionali. Tutto si basa dunque sull'incontro e sul dialogo tra culture differenti, come rivela lo stesso Odili nell'intervista con Michele Bonuomo: "mi affascina il modo in cui i dipinti dialogano con la cultura da cui provengono. Questo vale per la cultura africana, che in ogni caso è intrecciata con quella occidentale, così come per quest'ultima. In altre parole, mi interessa indagare il modo in cui comunichiamo e interagiamo all'interno di un contesto globale.

Il colore non è solo intellettuale, è anche emozionale".

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