Cultura e Spettacoli

Émile Zola e il germe positivo della letteratura

Malgrado il suo darwinismo, il francese è un gigante del romanzo

Giuseppe ConteSe esistesse una Borsa per quotare gli scrittori, le azioni di Émile Zola avrebbero toccato il minimo subito dopo la metà del secolo scorso. Balzac, Stendhal, Flaubert, Proust salivano ai vertici e ci rimanevano, mentre lui, l'autore del celebre J'accuse, il prototipo dell'autore impegnato in cause civili e sociali, esponente della linea romantico-umanitario-positivista dall'immaginario ancora in parte victorhughiano, veniva ampiamente ridimensionato o addirittura dimenticato dalla critica che contava, che allora era quella marxista, strutturalista e neoavanguardista. A rileggere Zola oggi (è appena uscito il terzo, ottimo «Meridiano» Mondadori, pagg. 1900, euro 80) ho avuto l'impressione che il tempo abbia fatto giustizia. Non temo di esagerare, Zola è un gigante. Ma forse lo è proprio malgrado le premesse teoriche di cui si servì, sostenendo che il romanzo andava fondato sulle leggi del determinismo scientifico del suo tempo, che ambiente e ereditarietà erano i condizionamenti più decisivi nello sviluppo di una personalità, insomma malgrado il suo darwinismo e il suo positivismo.Prendiamo Germinal, una delle sue opere maggiori. «Nella pianura nuda, in una notte senza stelle, scura e densa come l'inchiostro, un uomo procedeva solo lungo lo stradone da Marchiennes a Montsou...». È un attacco che sta tra il feuilleton e la potenza shakespeariana. Se non fosse anacronistico, direi anche che è una perfetta immagine cinematografica, una poderosa zoomata sino ad arrivare al protagonista, Étienne Lantier, che va cercare lavoro nel distretto carbonifero e che diventerà un capo dei minatori e li condurrà in uno sciopero dagli esiti tragici. Protagonista è il durissimo lavoro in miniera e le condizioni di vita dei minatori nel loro villaggio: Zola sa tutto sulla miniera, sfoggia competenze tecniche e analizza e mette a nudo la miseria, la promiscuità, la carnalità in cui vivono i proletari. Al centro c'è la famiglia Maheu, con il capostipite Bonnemort, i due sposi Maheu e la Maheude, la loro nidiata di figli, tra cui spiccano Zacharie, capace di un inatteso atto di eroismo, la piccola malata Alzire, il ladruncolo Jeanlin, e quella Catherine verso cui Étienne proverà subito amore, manifestandolo solo alla fine. Intorno, brulicano personaggi come la svergognata, gioiosa e generosa Mouquette, il malvagio traditore Chaval, rivale di Étienne, il nichilista Suvarin, sprezzante della propria e delle altrui vite, il turpe negoziante Maigrat, pronto a chiedere favori sessuali a madri e figlie in cambio di pane. Con uno stacco improvviso, dal grigiore funesto, dall'aria pregna di sudore, sangue, sacrificio, povertà che si respira in miniera, Zola ci porta tra gli agi e le ipocrisie borghesi, il direttore Hennebeau tradito dalla moglie con il cinico nipote Négrel, il signor Grégoire, l'azionista della Compagnia, con 40mila franchi di rendita l'anno, ci descrive il loro pranzo sontuoso mentre fuori gli scioperanti muoiono di fame. Ma niente è schematico e strettamente ideologico, in questo romanzo scandalosamente carnale, pieno di epos e di pathos, fortemente simbolico quanto più si vuole naturalista. Il direttore Hennebeau darebbe tutto il suo potere e la sua ricchezza in cambio di quell'amorale vigore fisico con cui vede i minatori mettere culo all'aria nei campi le loro ragazze. Le donne dei minatori si trasformano in baccanti quando mutilano il cadavere di quel Maigrat che tanto spesso le aveva violate e issano su un bastone i suoi testicoli come un trofeo mostruoso. E il vecchio Bonnemort, distrutto da decenni di miniera e oramai semiparalizzato, ha ancora la forza di strozzare la pur innocente Cécile Grégoire, vendicando senza volerlo il calvario della sua discendenza. Le pagine sulla fuga lungo i cunicoli bui della miniera dopo il sabotaggio che ne determina la rovina e l'allagamento hanno una presa soffocante. Per me che soffro di claustrofobia una prova di resistenza.Zola ti cattura come pochissimi romanzieri sanno fare. Ti fa percepire l'orrore dell'oscurità senza scampo, sentire il panico, il marciume, il silenzio gravido di morte che regna laggiù. Ma ti racconta che laggiù il vecchio cavallo da soma Bataille galoppa in cerca di libertà e ancora mentre si incastra sanguinando tra le rocce cerca un varco di luce con i suoi grandi occhi sofferenti. E laggiù, finalmente, Étienne e Catherine fanno l'amore.

Così capisco perché questo libro grandioso e terribile si intitoli Germinal, il nome, nel calendario rivoluzionario, del mese che annuncia che la vita, ciclicamente, germina e rinasce.

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