Cultura e Spettacoli

"Come nei vecchi noir sono un falso duro che si sporca le mani"

Da domani su Raidue è il poliziotto Rocco Schiavone nella fiction tratta dai romanzi di Antonio Manzini

"Come nei vecchi noir sono un falso duro che si sporca le mani"

Roma Ieri l'iPhone ha svegliato Marco Giallini con una suoneria impostata per errore. «Una musichetta sdolcinata, che invece di darmi la carica m'ha ammosciato. Che c'entra questo con Rocco Schiavone? C'entra, c'entra». È infatti colpa (o merito) dell'improvvida alzataccia, se poi l'attore romano s'è presentato alla conferenza stampa della nuova serie di Raidue sei puntate tratte dai romanzi noir di Antonio Manzini con la regia di Michele Soavi, in onda da domani in prima serata - esattamente con la faccia sgualcita del suo ruvido poliziotto. «Anche durante le riprese dormivo poco. Le fiction si girano talmente di corsa... Risultato? Tutti a dire: Hai proprio l'anima ferita, l'espressione tormentata del personaggio!».

Attribuire all'insonnia i meriti della sua interpretazione in Rocco Schiavone è riduttivo. Chiunque abbia letto i gialli di Manzini trova che lei abbia proprio la faccia giusta per il protagonista.

«Che in realtà non ne ha nessuna. Manzini non lo descrive mai, né lo fa mai guardare allo specchio perché dice - non dev'essere un personaggio che guarda, ma che è guardato. Ora però, dopo aver collaborato alla sceneggiatura, lo stesso autore ha confessato: Questa serie tv m'ha inguaiato. Non potrò più scrivere di Rocco Schiavone senza immaginarmelo con la faccia di Giallini. Bontà sua».

Che tipo è, questo poliziotto dalla faccia d'insonnia?

«Fuori dagli schemi, anarchico, scorretto, cinico. Uno che è cresciuto avendo per amici dei banditi, e per questo ama gli ultimi della classe. Uno che risolve i casi non per tecnica ma per conoscenza diretta. E che pur avendo una sua etica personalissima, in effetti - tende a confondere il poliziotto col giudice. Rocco Schiavone ha capito che la vita eterna non esiste. E si accontenta di vivere senza altre illusioni».

C'è una battuta che lo fotografa: «Quando catturo un malvivente, mi sento sporco anch'io».

«Perché sei come i cacciatori di serpenti nella palude - gli risponde la moglie - A furia di immergerti nel fango, t'infanghi anche tu».

Proprio il rapporto con la moglie defunta apre un inatteso squarcio sentimentale.

«Come molti falsi duri, Schiavone è in realtà un cuore d'oro. Io stesso, rivedendo le scene dei suoi soliloqui col fantasma, cioè il ricordo della moglie, mi sono commosso».

E poi ci sono gli aspetti meno edificanti. La sigaretta di marijuana che Schiavone fuma ogni mattina; il turpiloquio cui indulge abitualmente...

«Questa è una serie da Raidue; non da Raiuno. Il suo obbiettivo, come dice la direttrice della fiction Andreatta, è quello di recuperare un pubblico giovane che ormai è abituato ai linguaggi e ai contenuti scorretti delle serie straniere, e che quelle italiane neppure le guarda più. Abbiamo goduto di una libertà totale, come fosse un film. Certo: la polizia, pur approvando il prodotto, non gli ha concesso il suo patrocinio...»

I trascorsi «maledetti» del protagonista, la sua maschera rude; perfino l'ambientazione in Val d'Aosta, più che un giallo fanno di questo un vero noir.

«Esattamente. Il che spiega perché l'ho accettato con entusiasmo. È da quand'ero ragazzino che sognavo d'interpretare un noir, genere da noi ingiustamente trascurato. Io e mio padre li adoravamo, specialmente quelli francesi anni '70, in bianco e nero, con quei divi che papà, che non ne conosceva i nomi, chiamava quello col naso schiacciato, cioè Jean-Paul Belmondo, quello bello, Alain Delon, quello pelato, Michel Piccoli e quello che non sorride mai, Lino Ventura. Poi c'erano i sottoprodotti, roba di serie B ma sempre, chissà perché, irresistibili, con Marc Porel o Luc Merenda. Per non dire del duro per antonomasia della tv di casa nostra: l'impareggiabile Ubaldo Lay!».

Ma lei lo sa qual è, in tv, il paradossale rischio che si corre con i personaggi troppo azzeccati?

«Lo so, lo so: ma non ho nessuna paura di restarne intrappolato, se è a questo che allude. Magari averne, di personaggi così! E poi sono sempre io che faccio la maschera del personaggio; non il contrario».

E prima di tornare ad impegnarsi in una nuova, eventuale serie, nel caso Manzini scrivesse altri romanzi, quale altra maschera indosserà?

«Altre due, ma completamente diverse.

Quella di un goliardico professore liceale, nella commedia girata con Alessandro Gassmann Beata ignoranza, e quella drammatica propostami da Antonio Morabito, e interpretata accanto a Claudio Santamaria, dal titolo ancora da definire ma che racconta il mondo dell'usura».

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