Cultura e Spettacoli

Nel festival Tinto di eros Venezia rivaluta Brass

Un tributo alla carriera, spesso sbeffeggiata, di un cineasta "rivoluzionario", fra impegno politico e passioni carnali

Nel festival Tinto di eros Venezia rivaluta Brass

da Venezia

«Un anarchico della pellicola, uno sperimentatore geniale, un inventore di sogni. Un vero grande artista il cui messaggio di libertà si imprime come un marchio a fuoco in ogni suo film». Qualcuno non ci crederà, ma si sta parlando di Tinto Brass, che ritorna nella sua Venezia dalla porta principale della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica grazie al documentario IstTintoBrAss del suo collaboratore storico, Massimiliano Zanin che, alle belle frasi iniziali, aggiunge: «Questo film vuole raccontare un uomo controcorrente, che “ama l'amore” in un mondo che adora la violenza, il suo subire ogni censura portando sempre e comunque avanti un cinema che è primato della forma sul contenuto, del significante sul significato».
Con una presentazione così l'ottantenne Tinto Brass ieri al Lido appariva in gran forma, di buon umore, più sobrio rispetto ad alcuni eccessi esibizionistici del passato, complice, forse e purtroppo, l'ictus che lo ha colpito tre anni fa: «Sono contento di tornare a Venezia, soprattutto in un'occasione come questa. È una città che mi ha dato l'ispirazione erotica e cinematografica, e molte altre idee che per la maggior parte sono rimaste chiuse nel cassetto. Ho ancora 40 copioni, continuo però a sognare pensando ancora oggi che siano una materia valida sulla quale lavorare».

Sono lontani gli anni in cui Brass aveva bisogno di ricorrere ai suoi leggendari stratagemmi per approdare al Lido e far parlare di un suo progetto magari attraverso qualche siparietto con tanto di pose osé di una delle sue molteplici scoperte femminili. Il tappeto rosso si è quindi ieri tinto di Brass che poco prima rivelava di pensare già al prossimo film, Ziva, l'isola che non c'è: «Unirà i miei due periodi cinematografici più importanti: quello politico e quello erotico. Sarà un film pacifista, contro le guerre». Al centro del lungometraggio Caterina Varzi, rossa amorevole che lo ha accompagnato al Lido e lo ha «letteralmente salvato dopo la malattia». «La donna - racconta il regista - sarà anche qui come sempre al primo posto, perché la mia “missione” è sempre stata quella di mostrare come sia un essere umano fondamentale, di come in quest'epoca in cui molti uomini odiano le donne, si debba capire che importanza abbia il femminile nel mondo. Non solo esteticamente, la donna è completa».

Il lavoro di Massimiliano Zanin ripercorre tutta la carriera di Brass soffermandosi però più sulla prima parte, per capirci quella precedente a quella erotica famosa (ma ci sono tutta una serie di sequenze di ritratti inediti dei suoi famosi culi), anche se il tentativo esplicito è di offrire una visione unitaria delle opere di un cineasta che in qualche modo, come tutti i grandi autori, ha fatto sempre lo stesso film. In questa ottica il documentario è un tributo senza ombre, con testimonianze di interpreti come Gigi Proietti, Helen Mirren (onorata di aver fatto uno dei suoi primi film, Caligola, con un regista «così radicale»), Franco Branciaroli, Serena Grandi, Franco Nero... e con il bollino doc di un critico illuminato come Gianni Canova che trova nel rapporto tra eros e thanatos la vera chiave di lettura del cinema di Brass giudicato un vero «grande artista». Cosa che è indubitabile anche solo a riguardare alcuni dei suoi più importanti e rivoluzionari primi film realizzati lungo tutti gli anni Sessanta: Chi lavora è perduto, Il disco volante, L'urlo, Nerosubianco.

Opere sorprendenti per forma e linguaggio ancora oggi.

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