Cultura e Spettacoli

Nonno Moresco commuove con la «Fiaba bianca»

Massimiliano Parente

Antonio Moresco è senza dubbio un genio. Sublime quando è visionario, insopportabile quando è autobiografico. Dalla forza dirompente di Canti del caos, il declino è iniziato con Gli increati, un mostruoso tomo dove i morti sono vivi e i vivi sono morti, celebrando «l'increazione», che nessuno ha capito cosa volesse dire, e io temo sia solo la «creazione» con un «in» davanti, un creazionista in. Un discorso su cui si è fissato e che però spesso ti commuove, come nella Fiaba bianca uscita per Rizzoli, dove c'è un nonno che va a prendere la nipotina a scuola tutti i giorni, solo che il nonno è morto da tempo, e anche qui il refrain è che i morti siano vivi e i vivi i morti e via così, però la favola del nonno e della piccola Bianca è di una tenerezza struggente.

Altre volte invece Moresco è di una noia struggente, come ne L'adorazione e la lotta (Mondadori), che raccoglie vent'anni di scritti vari, per oltre quattrocento pagine. Moresco vi parla di letteratura come nessun altro, di Dickens, di Emily Dickinson, di Leopardi, di Dostoevskij, di Cervantes, potresti ascoltarlo per ore, ma se lo ascolti per ore ti accorgi che basta sapere due o tre parole chiave e applicarle a qualsiasi testo o contesto. Una di queste è «sfondamento», spesso appaiata a «tracimamento», «allagamento», «sconfinamento». Compito dello scrittore è «operare uno sfondamento e di allargare e allagare ogni cosa». Gli scrittori italiani del Novecento sono tutti «attraversati da questo sfondamento e sconfinamento di faglia». Legge Guerra e pace e vede in Natàsa «uno sconfinamento alieno». Legge Moby Dick, Illusioni perdute, ma perfino I promessi sposi e sono «romanzi di sfondamento assoluto». Va indietro nel tempo e «così è successo nel Trecento, nel Seicento, nel Sette-Ottocento... c'è stato uno sfondamento, un traboccamento». Passano gli anni e riprende in mano scrittori del passato e si sorprende di trovarvi «sfondamento, sconfinamento, traboccamento». Parla di Mo Yan e vi vede «uno sfondamento di orizzonti». Potrei continuare per pagine e pagine, ma la cosa fondamentale è che Moresco è un mistico moralista con un linguaggio futurista, che vuole arrivare allo «sfondamento in una dimensione più generale che ci comprende». Quale dimensione? Non si è mai capito. Quanto ai traboccamenti e agli allagamenti, sembra un idraulico alle prese con grossi problemi.

Non mancano neppure osservazioni sul mondo letterario chiuso in «cenacoli, schieramenti, cricche, congreghe». Peccato che Moresco sia il capo carismatico della rivista Il primo amore, a sua volta una cricca, una congrega che esclude chiunque non ne faccia parte. Giuseppe Genna a suo tempo mi avvisò: «Guarda che Moresco è un prete». Non per altro è stato in Seminario. Non per altro arriva a agnizioni note solo a lui, tipo: «Che cosa vuol dire mistica, se oggi perfino le sempre nuove conoscenze scientifiche, fisiche e astrofisiche ci aprono cognizioni, possibilità e dimensioni che un tempo avremmo definito e circoscritto come mistiche». Veramente negli ultimi vent'anni le neuroscienze hanno circoscritto come fisiologiche esperienze che un tempo avremmo definito mistiche. Coerentemente il libro si chiude con l'esaltazione di Teresa D'Avila. E con delle domande fondamentali, dopo quattrocento pagine di sfondamenti, sconfinamenti, tracimamenti, allagamenti: «Che cos'è la letteratura? Che cosa sono le stelle? Cos'è successo miliardi di anni di fa? Che cosa sta succedendo adesso?».

Niente Antonio, succede solo che invecchiando si peggiora, sia l'universo che la letteratura che te.

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