Cultura e Spettacoli

Ma ora «Li mortacci» non fa ridere, è solo cattiveria

di Andrea CuomoM alimortaccitua. Detto con affetto, ci mancherebbe. L'esclamazione che chiama in causa l'onorabilità degli affetti venuti a mancare all'interlocutore a Roma è sempre stata più una manifestazione di ammirazione e affetto che un vero insulto. Non puoi davvero sostenere di essere benvoluto da qualcuno all'interno del grande raccordo anulare se questi non ti ha mai rivolto questa pernacchia verbale dalla metrica giottesca, che prevede nella sua versione a denominazione d'origine protetta la seconda «a» allungata, strascicata, come si dice a Roma. Nell'edizione integrale o nei suoi bignamini mortaccitua, taccitua, citua e l'ellittico e sgomento malimorté, che quasi meriterebbe di concludere una versione alla pajata del motto dei rivoluzionari francesi: liberté, égalité, malimorté. Non c'è nulla come questo esasillabo cinematografico a riassumere la metamorfosi dolente di Roma (l'unica città al mondo - crediamo - in cui esiste un ristorante, La Parolaccia, dove l'insulto è compreso nel prezzo: gli avventori vanno a rimpinzarsi e a farsi riempire di contumelie dai camerieri-attori, i turisti vanno in visibilio) e della romanità. Dove la gravità esibita faceva parte del folklore locale, dove l'invettiva e l'insulto scioglievano qualsiasi conflitto in un cinismo bonario, ora invece è solo cattiveria, aggressione, un Romanzo Triviale. Ora il romano incattivito se ti insulta perché non sei scattato al verde lo fa sul serio.

E i mortacci sono zombie vernacolari e scurrili, in fila sul Muro Torto.

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