Cultura e Spettacoli

Orgoglio Venezia: simbolo di un'Italia che sa rinascere

Una grande esposizione celebra la storia del Festival: tra cadute e ascese, un percorso su come la mostra del cinema sia riuscita a superare i periodi bui

Orgoglio Venezia: simbolo di un'Italia che sa rinascere

da Venezia

Adesso che la 75° edizione del Festival di Venezia allestisce, al piano terra del mitico Hotel des Bains, Il Cinema in Mostra, possiamo dire che il lungo inverno del nostro scontento cinematografico è definitivamente alle spalle. Più di mille e cinquecento fra foto a stampa e a monitor, sei filmati con sequenze tratte da 120 film, cinque documentari, testi e materiali dell'Archivio storico sono lì a raccontarci il più antico Festival del cinema del mondo, anno di nascita il 1932, e con esso la storia dell'arte cinematografica incastonata nella storia di una città. La riapertura, temporanea e simbolica, proprio dell'albergo più glamour del Lido, con le sue sale Visconti e Thomas Mann a disposizione dei visitatori dell'esposizione (sin al 16 settembre) grazie alla cortesia di COIMA Sgr, è l'ulteriore sigillo che mette fine a una decadenza che è stata a lungo anche una latitanza.

Bisogna dare atto al direttore della mostra, Alberto Barbera, di essere riuscito in un decennio a raddrizzare le sorti di un Festival che, uscito malconcio dal XX secolo, si era arrampicato nel nuovo millennio con il passo incerto di chi non credeva più in se stesso, minacciato da concorrenze nazionali partitico-mondane (lo strombazzato Festival di Roma poi sopravvissuto a se stesso); stretto fra il gigantismo sempre più onnivoro di Cannes e le nuove sperimentazioni di Berlino e Toronto; perso dietro a direttori che lo usavano come specchio del proprio narcisismo o dei propri, discutibili, gusti cinefili. Le polemiche sul nuovo Palazzo del Cinema mai realizzato avevano poi fatto il resto, un cratere a cielo aperto e in seguito miseramente coperto, che odorava di sciatteria e malgoverno, un turismo da rapina che mortificava gli appassionati che nonostante tutto si ostinavano a onorare quell'appuntamento annuale. E ha ancora ragione Baratta a sottolineare come l'esposizione Il Cinema in Mostra serva a un duplice scopo: «Ripercorrere le tappe essenziali di un percorso che ha fatto della Mostra, negli ottantasei anni che ci separano dalla sua nascita, un unicum di assoluta eccellenza, intriso di magia e singolarità. Con la sua ascesa, le sue cadute, l'opacità di certe edizioni, il rinascere continuo, il sapersi rigenerare guardando sempre in avanti. E, in secondo luogo, per ricordare a noi stessi, prima che agli altri, che la Mostra ha un senso se è più un luogo di sperimentazione che una vetrina, se ci aiuta scoprire film capaci di aiutarci a interpretare il passato dietro di noi e decifrare il futuro davanti a noi, lontani dalla dittatura del presentismo».

Il presentismo ha una data, cinematograficamente parlando, quel '68 in cui la Mostra si suicidò e rimase poi per lunghi anni così, un cadavere in putrefazione, ma imbellettato a suon di slogan per evitare di sentirne il tanfo ideologico. A Cannes, la sua storica rivale, il '68 durò un anno, quel solo anno, da noi quell'attimo si eternizzò e quando finalmente si riuscì a girare pagina, intanto era cambiato tutto.

Il Cinema in Mostra non è però solo una splendida galleria di mostri sacri della regia, dive e divi esemplari, Leoni d'oro a pellicole che fanno parte della storia della settima arte, pettegolezzi e copioni, rivalità, invidie e sceneggiature. E' anche, e forse soprattutto, un tributo al Lido di Venezia e a Venezia stessa, all'unicità di un Festival che ha come décor la più unica delle città, a sua volta set di innumerevoli film, dal vero (Summertime-Anonimo veneziano, A Venezia un dicembre rosso schocking) o ricostruita in studio (Cappello a cilindro, il Casanova di Fellini...).

È un'unicità che essendo considerata naturale noi italiani abbiamo sempre pensato dovesse non finire mai, un dono che ci veniva concesso di sperperare perché inesauribile, l'estetica del vivere come stato della mente e non conquista faticosa da difendere, da tutelare giorno dopo giorno... Non è un caso che il '68 segni il momento in cui una generazione, come in trance, dissipa quello che la generazione precedente le aveva lasciato in eredità e che proprio al volgere del secolo una nuova generazione decida invece d riallacciare i legami con chi quella storia aveva iniziato, i Volpi e i Cini, l'Italia degli anni Trenta che dell'essere italiana era tanto fiera quanto consapevole.

Così, paradossalmente, in un'epoca di sussulti politici e di tremori economici, il Festival di Venezia giunto appunto alla sua 75° edizione può celebrare se stesso come la sola istituzione che nata nell'Italia di ieri sia sopravvissuta in quella di oggi e per giunta si presenti rinvigorita all'appuntamento, onorando i suoi fondatori, comprendendo e storicizzando i suoi detrattori e i suoi affondatori, lavorando sempre e comunque per un marchio che dà lustro al Paese e che è testimonianza nonché vetrina di creatività, intelligenza, bellezza.

Chi irride al cinema come sterile fabbrica di illusioni o come specialistico rifugio di pallidi cinefili senza arte né parte troverà nei prossimi giorni in laguna la migliore risposta alle sue idiosincrasie. E in più, come diceva quella battuta di Il talento di Mr Ripley, «Adoro Venezia, vedi Venezia e poi muori, si dice così? O è Roma. È Roma forse... C'è una cosa che fai e poi muori.

Comunque Venezia è nella lista».

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