Cultura e Spettacoli

Da Oscar Il film sul baseball

Che ci fa Justin Timberlake insieme con Clint Eastwood? Semplice: l'americano giovane che porta rispetto al grande vecchio e vuole sposarne la figlia. Una grande metafora della vita, in generale, e della politica americana, in particolare, come vedremo in Trouble with the curve, film drammatico di Robert Lorenz, dove l'Ispettore Callaghan torna a fare l'attore. Valuteremo questo dramma sportivo, ambientato nel mondo del baseball, dal 30 novembre (distribuisce Warner Bros), mentre negli Usa a un passo dalle elezioni sarà nelle sale già il mese prossimo. Di Clint conosciamo l'animo patriottico e una certa, recente inclinazione al patetismo a ciglio asciutto, ma stavolta sarà un festival di americanitudine e scontri generazionali a lieto fine. Una specie di canto del cigno, insomma, perché una buona volta l'Oscar come miglior attore dovranno pur darlo all'ottantaduenne di acciaio. Era dai tempi di Gran Torino (2008) che non assistevamo a una performance di Dirty Harry davanti alla macchina da presa e l'ultimo film in cui ha recitato, senza dirigersi, cioè Nel centro del mirino di Wolfgang Petersen, risale al 1993. La leggenda di Hollywood, dunque, sa quello che vuole (eppure, dopo il ruolo del burbero Kowalski aveva detto che piantava lì la sua carriera di attore) e s'è presa un'icona pop come Timberlake per giocare al confronto tra scuole di pensiero, sullo sfondo dello sport Usa per eccellenza. Piazzando il tutto nella cornice del classico viaggio on the road, insieme con la riluttante figlia Mickey (Amy Adams, tre volte nominata agli Oscar). Lui è Gus, uno scopritore di talenti un po' vecchiotto, che non ci vede più tanto bene e infatti ha «guai con la curva»: non distingue la curva della palla, quando la battono e forse manco la curva discendente del proprio percorso di scout del baseball. Per questo i dirigenti degli Atlanta Braves vorrebbero mandarlo in panchina.
Da sempre in rotta con la figlia, con la quale comunica poco e male, Gus decide di coinvolgerla nell'ultimo viaggio alla ricerca di talenti veri. Per dimostrare che ancora ci piglia, nello sport come nella vita e che la sua scuola, fatta di fiuto e osservazione, è la migliore. Gus partirà con Mickey. Chi ha visto Moneyball con Brad Pitt in un ruolo analogo, sa che l'atmosfera di questo sport drama è la stessa. In più, qui circola il problema dei problemi delle famiglie: il rapporto padre-figlia non è idilliaco, ma una seconda opportunità gli va data. Così come occorre dare un «secondo tempo» all'America, tanto per citare lo spot della Chrysler, in onda al Super Bowl di Indianapolis, in cui Clint convince gli spettatori americani a credere nel proprio paese e nel ruggito dei suoi motori. Si disse che quello era «political football», con Clint che dava il calcio d'avvio alla campagna elettorale, ma erano solo due minuti di potenza divistica. Dopo la «trilogia del dollaro», firmata Sergio Leone, arriva la «trilogia dello sport», con Eastwood che, dopo Million Dollar Baby e Invictus, usa la metafora sportiva per parlare d'altro?
A rendere pop lo svolgimento del soggetto di Randy Brown, qui interviene Justin Timberlake, nei panni di Johnny, grintoso scout d'una squadra rivale. Il vecchio e il giovane, però, si stimano e bevono la birretta al bar, o fumano il sigarone sugli spalti. Le cose si complicano quando Johnny s'innamora di Mickey. Troppo zucchero, detta così? No: le carognate non mancheranno e le farà John Goodman, starring il boss arrogante, deciso a eliminare il rispettabile ferro vecchio Gus. E poi, un po' di baseball marcio, partite truccate, scommesse finte, delusioni a gogò. Come qui da noi, adesso. Problemi con la curva ne abbiamo parecchi, peccato che manchi un Eastwood: attore, regista, produttore, musicista, patriota nemico della retorica, impegnato in politica senza bacchettonismi.

Il repubblicano Clint, che pochi giorni fa ha ribadito il suo sostegno dichiarato al candidato presidente Mitt Romney, combatte il sistema hollywoodiano da indipendente di gran classe.

Commenti