Cultura e Spettacoli

Il paradosso delle «app» che non vanno a tempo

Le cosiddette «app» hanno portato le radio nel futuro. Sono software gratuiti che si possono scaricare su ogni «device», dal tablet allo smartphone al computer da tavolo. Nel momento in cui si diventa titolari della «app», si entra nel mondo di quella determinata radio, si conoscono i palinsesti, i volti e le voci. Soprattutto, si può ascoltare la radio gratuitamente e con la limpidezza del suono digitale. A differenza dei normali impianti radio, non ci sono problemi di frequenza, nel senso che non c'è la possibilità che «il segnale» scompaia a causa di ostacoli come mura o montagne. Insomma, un reale passo avanti che conferma quanto la radio sia sempre in grado di rimanere al passo con i tempi e, come in questo caso, sappia andare incontro al proprio pubblico e ad abbassarne l'età media anagrafica. Sembrerebbe la quadratura del cerchio. Sembrerebbe. Il problema delle «app» è che trasmettono sempre in ritardo rispetto al segnale madre. Tra i due e i quattro minuti in media. Spieghiamoci: se si ascolta un programma su di una radio da tavolo e poi si accede alla stessa radio attraverso la «app», ci si rende conto di aver già ascoltato quelle parole o quella canzone pochi minuti prima. Un problema irrilevante nel caso di semplice fluire di musica. Ma determinante nel caso di segnale orario (si annunciano, ad esempio, le 17 quando in realtà sono le 17.03) o di eventi trasmessi in diretta come le partite di calcio. L'effetto è straniante e dipende, a quanto pare, dai trasferimenti online.

Però è da risolvere al più presto.

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