Cultura e Spettacoli

Pat Metheny inventa il jazz a tinte forti

Per trent'anni Pat Metheny, tedoforo della moderna chitarra jazz, ha rinunciato al sostegno del sax tenore. Lo usò in 80-81 (con Dewey Redman e Michael Brecker) poi ci ha riprovato nel 2012 con la nuova formazione Unity Band, in cui spiccava il prezioso Chris Potter, e ha subito vinto un Grammy (il ventesimo della sua carriera). Ora la Unity Band si è trasformata nel Pat Metheny Unity Group (a Metheny, Potter, Antonio Sanchez e Ben Williams s'è aggiunto il polistrumentista Giulio Carmassi) che pubblica tra pochi giorni il nuovo album intitolato Kin, votato all'improvvisazione e allo sviluppo del rapporto col sax tenore e con i numerosi strumenti suonati da Carmassi. «Questa band pian piano è diventata una combinazione di musicisti in cui la somma è meglio delle singole parti - spiega Metheny -; al tempo stesso ero impaziente di scrivere qualcosa di più ricco, che andasse oltre i limiti imposti dalla classica formazione a quartetto, ma senza perdere l'energia e l'intensità della band. Così se il primo disco era un attento documentario in bianco e nero, Kin è un lavoro in Technicolor».
Così l'album è una raccolta di brani molto lunghi e complessi armonicamente, basata sul gioco di squadra e sull'improvvisazione, «che diventa elemento principale della narrazione musicale. Abbiamo trascorso un anno spettacolare con oltre 100 concerti e ci è rimasta la voglia di continuare, però ognuno di noi era impegnato con i suoi singoli progetti. Così abbiamo deciso di ritrovarci nel 2014 per espandere il nostro discorso musicale. Giulio Carmassi è l'uomo ideale per questa nuova avventura perché è un jolly e con il suo apporto ci permette di sperimentare nuovi suoni e colori».
Cinque solisti che, in brani come On Day One, Sign of the Season, Rise Up ricca di influenze sudamericane, senza sacrificare il loro virtuosismo, si mettono al servizio l'uno dell'altro creando una musica moderna e spiazzante. Non è un caso che l'album s'intitoli Kin. «Kin significa famigliare, parente, quindi in senso lato famigliarità e continuità col passato; significa che siamo antenati di qualcuno ma abbiamo anche noi degli antenati. In senso strettamente musicale è la piattaforma per unire elettronica e orchestra», sintetizza Metheny. Il suo obiettivo è sempre quello: esplorare le alternative al suono tradizionale del jazz è il filo rosso che unisce tutti i suoi dischi. Ed in questo è molto rigoroso: «sono molto critico, butto l'80 per cento delle cose che scrivo. Pensate che lo spartito del primo pezzo, On Day One, è lungo 34 pagine. Ogni album è un capitolo di una lunga storia. La mia carriera da Bright Size Life a oggi è una sola lunga canzone. Ma è importante che ciascun disco abbia la sua personalità distintiva. Il lavoro con lo Unity Group è particolarmente originale, questo album nuovo è molto più avanti del precedente ed è la prova che insieme possiamo fare qualsiasi cosa». Così giocato sulla ricerca e sul filo dell'improvvisazione, l'album si presta particolarmente ai concerti dal vivo. Infatti il gruppo parte il 3 febbraio per una tournée mondiale che lo porterà in Italia per otto date dal 14 giugno (apertura all'Udine Jazz Festival) al 22 giugno (concerto di chiusura all'Anfiteatro del Vittoriale a Gardone Riviera). Qualcuno pensa che tutto questo guardare in avanti possa far perdere il senso delle radici a Metheny, ma lui tranquillizza tutti: «Le mie radici sono sempre nel jazz, ma essendo nato a Kansas City ho assimilato anche molta musica country e bluegrass. Da piccolo per strada ascoltavo artisti che non avevano cultura musicale ma suonavano il blues con un incredibile senso del ritmo. Bisogna portarsi sempre dietro ciò che si è imparato ma è importante non imitare».
Metheny non ama rimanere impastoiato tra etichette di generi e stili; lui suona per abbattere le frontiere. «La musica è astratta quindi è difficile definirla. Se entriamo in un locale riusciamo comunque a capire chi suona bene e chi suona male, a prescindere dal tipo di musica. La musica è un unicum con tante variabili in gioco, e non è detto che un musicista colto faccia cose migliori di un altro. Sono contento di far parte della comunità jazz ma non mi dispiacerebbe se il termine jazz sparisse dal gergo comune, perché crea troppi equivoci. Il fulcro di tutto è l'improvvisazione». E, per concludere, allunga un consiglio a chi si avvicina al jazz. «È difficile essere un buon musicista, ma è facile diventare una meteora.

L'unica vera strada è quella di isolarsi da tutto ciò che sta intorno».

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