Cultura e Spettacoli

Patterson ritira il romanzo in cui «uccide» il rivale King

Daniele Abbiati

Un conto è se una persona ti sta (più o meno cordialmente) sui cosiddetti, un altro conto è farla fuori. Ma quando la prima e la seconda persona sono entrambe scrittori, la differenza non è poi così grande, visto che loro hanno a disposizione un'arma più micidiale dell'arsenico, dei pugnali o delle pistole: la scrittura.

Che Stephen King e James Patterson si stessero reciprocamente (e poco cordialmente) sui cosiddetti lo si sa da anni, e i milioni di copie vendute dall'una e dall'altra parte non hanno fatto che alimentare l'antipatia. «Certo, ha successo, ma è un autore terribile», ha detto King di Patterson, dove «terribile» non è da mettere in relazione con il brivido positivo suscitato dai suoi libri, ma con la qualità della prosa. «Certo, ho letto le sue cose, ma ho sempre pensato che gli sarebbe stato utile uscire dal suo Maine», ha ribattuto Patterson. Leggi: in fondo è un provinciale.

Ebbene, dopo reiterate schermaglie verbali, Patterson ha deciso di sferrare l'affondo finale. Finale in tutti i sensi: uccidere il rivale, anche se in un romanzo. Che s'intitola, papale papale, The Murder of Stephen King. La trama è piuttosto semplice, e forse il diretto interessato preferirebbe definirla «banale»: King viene perseguitato da uno stalker che è la sintesi di tutti i peggiori killer da lui inventati, e questo «mostro» alla fine lo elimina. Con piena soddisfazione di Patterson, evidentemente. L'uscita del libro era stata annunciata con squilli di trombe e rulli di tamburi poche settimane fa.

Ma poi ecco, inaspettato, il colpo di scena. Patterson si è pentito e ha annunciato che no, il romanzo non uscirà, come previsto, in novembre, e che sì, probabilmente «potrebbe provocare disagi a King» (il quale recentemente ha subito l'irruzione in casa propria di un fan, per fortuna meno violento di Annie Wilkes, la psicopatica lettrice di Misery non deve morire). Quindi, pausa di riflessione, o per meglio dire tregua armata.

«Volevo esplorare ciò che succede quando uno scrittore si ritrova in una situazione pericolosa a causa del suo stesso lavoro», ha spiegato Patterson, fra il contrito e il deluso per essere rimasto con il colpo in canna.

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