Cultura e Spettacoli

"Il pensiero ribelle" contro il progressismo Iannone e l'altra faccia della filosofia politica

Un percorso da Chateaubriand a Salvemini e alla «rivoluzione conservatrice»

Corrado Ocone

Ognuno di noi ha degli autori, o anche dei luoghi di pensiero, che segnano, come su una mappa geografica, le stazioni attraverso cui è passato nella formazione del proprio universo mentale e morale. A volte, per chi possiede una ideologia forte, o per chi si accontenta del pensare facile della cultura media i momenti e i riferimenti sono quelli canonici, classici. C'è però anche chi, preso sul serio il dovere morale della libertà intellettuale, può trovarsi a navigare controcorrente, soffrendone le pene poiché la società di solito riserva un posto marginale a chi va contro vento. A maggior ragione, se lo fa non per partito preso, ma con cognizione di causa e sensatezza di ragionamento.

Luigi Iannone ha seguito un po' questa china, passando per idee e autori non conformi al canone dominante. Ora ne raccoglie i risultati in un avvincente racconto: Il pensiero ribelle. Controstoria della filosofia politica (Idrovolante, pagg. 332, euro 20). La cifra che accomuna gli autori e i momenti trattati è quella della resistenza al pensiero illuministico e progressista che ha dato il tono agli ultimi due secoli e mezzo, fino ad approdare oggi alle secche rive del pensiero unico del politically correct. Sono autori diversissimi fra loro i quali, oltre alla caratteristica di averci illuminato sui punti critici o di cesura verso la nostra tradizione, della «linea tendenziale che incrocia liberalismo e progressismo», non presentano alcun denominatore comune. Essi disegnano un panorama ideale, ma essendo pensatori «contro» raramente mettono capo a «un rigido sistema di idee, coerente e organizzato». Il loro pensiero è «ribelle», d'altronde, proprio perché non vuole lasciarsi ingabbiare in nessuna idea preconfezionata, accontentandosi di mostrare il lato «altro» delle idee che i più considerano vere, corrette, «morali». «I ribelli non sono solo i tradizionalisti, i reazionari, gli estatici laudatores del si stava meglio quando si stava peggio, i dissacratori del progresso in ogni sua possibile declinazione, ma anche gli scettici... realisti convinti di dover utilizzare la chiave di volta del disincanto e, spesso, del sarcasmo. Non degli insoddisfatti che vivono nel rimpianto del passato o che coltivano con cura la piantina sempre viva del pregiudizio, ma cultori feroci del dubbio i quali non si arrendono all'idea che, con la modernità, vi sia una rottura fatale e decisiva della Storia propedeutica alle magnifiche sorti e progressive».

L'andamento del racconto è per lo più cronologico: si parte da Chateaubriand per arrivare, attraverso una cavalcata di due secoli, a Massimo Fini. Attraverso rapidi schizzi, Iannone va diritto al punto in cui il pensiero dei suoi eroi sa cogliere una cesura, una contraddizione, un paradosso, del tempo presente e dei suoi mitologemi. Egli prova anche a catalogare i protagonisti del libro, dividendoli in autori in cui prevale il tema identitario, in scettici e disincantati, in critici della modernità. Ma è una categorizzazione che non regge nei fatti, perché di ognuno si può dire che abbia in sé, in diverse dosi, ciascuno dei tre elementi. Particolare attenzione Iannone dedica al primo decennio del Novecento, allorquando su raffinate riviste italiane (La Voce, Il Regno, Lacerba, ecc.), andò formandosi un ceto intellettuale allergico alle certezze a buon mercato offerte dalla cultura media positivistica. Quegli intellettuali (Papini e Prezzolini in prima fila, ma anche Corradini, Corridoni, D'Annunzio, Gobetti, lo stesso Mussolini) avrebbero seguito percorsi diversi, e avrebbero anche radicalmente cambiato idee nel corso degli anni, ma quanta libertà intellettuale avevano rispetto al conformismo gramsciazionista del secondo dopoguerra!

Con un' incursione nelle pagine del Salvemini critico dell'antifascismo come ideologia e di Eco che quel paradigma eleva invece a una sorta di categoria ideale e metastorica, Iannone mostra poi come rapidamente si sia proceduti, non solo in Italia, al predominio di una cultura intollerante mercificata e molto orientata a sinistra al tempo stesso. Ampio spazio, l'autore dedica poi alla «rivoluzione conservatrice europea», con Schmitt, Spengler, Sombart, Jünger, Heidegger, Nolte, che svettano sopra tutti. Alla fine sotto accusa vengono messi la tecnica e il capitalismo (di qui l'inserimento nella silloge di pensatori come Severino e Preve). Forse è questa la parte meno convincente del libro di Iannone che, critico verso il turbocapitalismo, sembra dimenticare, col suo Scruton, che la libertà economica, se regolata dai paletti della legge e dai valori della comunità di appartenenza, è una garanzia proprio contro il conformismo e l'omologazione imperanti.

Un libro da leggere e rileggere, comunque: un riferimento per chi voglia continuare a ragionare con la propria testa.

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