Cultura e Spettacoli

Il Pessoa di Giulio Base ha il fascino discreto (e ricco) della borghesia

"Il banchiere anarchico" tratto dal racconto del portoghese è un dissonante inno alla libertà

Il Pessoa di Giulio Base ha il fascino discreto (e ricco) della borghesia

Ve lo immaginate Fernando Pessoa - gracile, occhialini, imbarazzo e paltò - sfilare sul red carpet? Magia del cinema. È successo ieri sera al Lido, quando Giulio Base, un attore che un anno fa usciva popolarissimo dall'Isola dei famosi e oggi ha l'irriverenza di portare alla mostra del cinema un'opera sul più elitario tra i poeti del '900 - «Come concilio le due cose? Indossando ogni volta una maschera diversa, l'attore come il poeta è un fingitore. Io sono così» - è entrato in Sala Giardino per la proiezione ufficiale del suo (in tutti i sensi: è sceneggiatore, regista e attore) Il banchiere anarchico, film filologicamente tratto dall'omonimo racconto-pamphlet dello scrittore portoghese. Impianto teatrale, giochi di luci e ombre (non è solo una questione scenica: dove sta il Bene e dove il Male?), paradossi e relatività del tutto. È la verità della letteratura, ma dentro la finzione del cinema.

Smoking (sul tappeto rosso e in scena), baffetti e sigaro sempre accesso al cui fumo vi terrà appesi come ai suoi sottili ragionamenti, Giulio Base adora Pessoa da quando era ragazzo («e c'erano pochissimi libri tradotti in italiano»), e lo ha già portato a teatro negli anni '90. Ma ora che le due parole chiave sono Finanza e Politica è il momento perfetto per portare sul grande schermo Il banchiere anarchico, titolo-ossimoro di un libro, scritto cento anni fa, che svela, avvolgendole di fascino ambiguo, verità scomode. Quali? Che il denaro è più forte di tutto. Che l'egoismo è la pulsione più potente dell'uomo. Che l'unicità dell'individuo è superiore a qualsiasi disuguaglianza, naturale e sociale.

Accomodatevi. In scena c'è solo un tavolo apparecchiato per due, un divano bianco e una scacchiera. La storia è il resoconto di un colloquio, di fatto un lungo monologo, in cui un potente banchiere, la sera del suo cinquantesimo compleanno spiega al suo unico amico (Paolo Fosso) come è possibile, senza alcuna contraddizione logica, conciliare ricchezza e anarchia. Per lui, nato da una famiglia della classe operaia, rivoluzionario vero, l'unico modo per essere veramente anarchico è essere completamente libero. E per essere completamente libero occorre sottomettere tutte le convenzioni sociali. E se la più forte delle convenzioni sociali è il denaro, allora bisogna averne così tanto da non esserne influenzati. Terribile e semplice. Per essere anarchici in maniera cristallina - è la conclusione dell'uomo dai loschi affari e dall'intelligenza limpida - bisogna essere, senza vergogna né sensi di colpa, solidamente ricchi.

Ricco di riferimenti filosofici e sociali, carico di cinismo e disillusione, elegantemente provocatorio e inafferrabile («Mi chiedi se il protagonista è un eroe del nostro tempo o uno sprezzante individualista? È l'ambiguità del testo di Pessoa: come attore lo amo, come regista non lo giudico»), Il banchiere anarchico è un film dalla forte connotazione culturale e non di facile consumo. Perfetto per un festival del cinema. Rischiosissimo per il grande pubblico. «Lo so, ci vuole coraggio. Ma non mi importa delle reazioni. Me ne sono fregato quando mi hanno chiamato a un reality, me ne frego se c'è da sfidare l'opera di un gigante della Letteratura».

La Letteratura non sempre produce grandi film, anzi. Ma a volte regala sorprese. Come Il banchiere anarchico. Un'opera attualissima (mai si è parlato tanto come oggi di banche, finanza immorale, ribellione contro le élite...) e rivoluzionaria. Per una volta eleva al ruolo di protagonista (quasi) virtuoso un personaggio sempre ridicolizzato dal nostro cinema: la borghesia. «Ho provato a guardarla in faccia senza fare satira, ma regalandole un certo fascino. Nei film italiani, appena si affaccia un ricco finisce in macchietta: o è ladro o ignorante. Perché non può essere colto, elegante, raffinato?». E se il denaro non fosse solo simbolo di ingiustizia ma (anche) uno strumento di liberazione?

Per Giulio Base il film è davvero una liberazione («Portare sullo schermo questo Pessoa è una cosa che pensavo da anni. È come se fosse la mia opera prima»). Per chi lo produce (Agnus Dei e Rai cinema) e chi lo distribuisce (Sun Film Group) un azzardo. A chi piacerà? «A chi ama Pessoa in tutte le sue contraddizioni, non solo il Pessoa poetico e conciliante di Tabucchi, e non solo il Pessoa ultraconservatore e monarchico di certa destra». A chi non piacerà? «A chi non cerca solo il cinema d'azione e i film rassicuranti e corretti».

Di questi ultimi, peraltro, ce non sono già in giro abbastanza.

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