Cultura e Spettacoli

La pittura di Ventrone scuote il cuore e la mente

Emanuele Beluffi

Lo chiamano «Il Caravaggio del ventesimo secolo», «lo scienziato della pittura». Di lui hanno scritto i più grandi, da Federico Zeri a Giorgio Soavi, passando per Sgarbi e Antonello Trombadori. Francesco Bonami disse: «È bravissimo ma fa pornografia artistica» e Sgarbi replicò: «No, lo scandalo è trovarsi davanti a uno che sa dipingere». Lui è Luciano Ventrone e lo vedremo, dal 31 gennaio all'8 marzo, alla Fondazione Stelline di Milano in una retrospettiva intitolata «Il limite del vero.

Dall'astrattismo all'astrazione», a cura di Angelo Crespi, secondo un percorso che va dai primi anni '60, con la raffigurazione delle cellule ingrandite al microscopio, attraverso le nature morte degli anni '90, quando si consolida quello «streben» a sperimentare «il limite del vero» fino al «realismo astratto ventroniano», oggi celebrato (e criticato), perché la sua pittura non lascia indifferenti, scuote il cuore ma anche la mente, è divisiva e mette in moto il cervello di tutti, esperti e/o amatori: come spiega Angelo Crespi, «da qui nasce lo stupore, di una pittura che non inganna l'occhio, bensì la mente e ci costringe a un corto circuito per ridare senso a ciò che nella realtà non esiste».

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