Sanremo 2016

Pizza, acuti e conformismo È la sagra che ci meritiamo

Il Festival fotografa alla perfezione il carattere degli italiani. Ed è la sintesi delle mode politiche e ideologiche

Pizza, acuti e conformismo È la sagra che ci meritiamo

Ricordo i primi Sanremo radiofonici, inizio anni Cinquanta. Li guidava Nunzio Filogamo che salutava così: «Cari amici vicini e lontani buonasera». Aveva un eloquio ricco e sciolto, sapeva l'italiano perfettamente e usava un linguaggio appropriato. La Crusca non avrebbe avuto nulla da obiettare. Grandi e piccini trascorrevano un paio di serate con l'orecchio appiccicato all'altoparlante. Gorgheggiava Nilla Pizzi, e vinceva. L'indomani, qualunque garzone di panettiere, pedalando alacremente per portare ai clienti la «michetta» fresca, ne cantava a squarciagola i ritornelli.Poi il Festival traslocò in televisione ma - mutatis mutandis - è rimasto sostanzialmente alle origini.

Non importano i contenuti, la qualità delle canzoni e della musica che sono solo pretesti per inscenare, una volta l'anno, uno spettacolo popolare, interclassista, ossia l'evoluzione anche tecnologica delle vecchie care sagre paesane. Le bocche non sputano fuoco, suscitando brividi nella gente, bensì note e voci più o meno intonate. L'appuntamento canoro è il prolungamento, riveduto e corretto, cioè aggiornato, dei concerti bandistici in onore del patrono. Parlarne male è la cosa più facile del mondo. In effetti i principali denigratori sono i cosiddetti intellettuali, specialmente di sinistra, che amano il popolo, però non sopportano la popolazione. Alla vigilia della puntata inaugurale avevano già schifato l'evento, ovviamente senza averlo valutato in concreto. Tutto ciò che ha successo di pubblico non piace a lorsignori per dovere d'ufficio. In loro domina il pregiudizio.Anche io in passato ho criticato la famosa kermesse, convinto che fosse un diversivo finalizzato a intontire i telespettatori. Sbagliavo. In fondo, Sanremo fotografa alla perfezione il carattere dei connazionali, i quali aspirano legittimamente a svagarsi, a pensare ad altro, anzi, a non pensare affatto, dato che tutto il resto, come intonava Califano, è noia.

Aveva ragione lui, il borgataro poeta che cercava nelle donne quanto non trovava negli uomini. I fanatici del trullallero trullallà hanno la stessa mentalità e la stessa sensibilità del Califfo, morto alcuni anni orsono: credono nella forza dei sentimenti interpretati dagli artisti che si sfidano sul palcoscenico dell'Ariston.D'altronde nei brani più azzeccati ciascuno identifica se stesso, rievoca le proprie esperienze amorose, le palpitazioni, le sofferenze «cardiache» patite in gioventù e anche dopo; l'amore non ha età. Dalle mie parti orobiche c'è un detto: «L'amur e la fam i la sent tucc i salam». Traduco: l'amore e la fame li sente qualsiasi salame. Nulla di più vero. È la spiegazione del fatto inequivocabile che un refrain è più efficace di un'opera letteraria romantica per esprimere i tormenti intimi provocati da un abbandono o dalle speranze di un'unione affettiva.In altre epoche, i fidanzati (anche solo in pectore) si recavano sotto le finestre della ragazza cui avevano messo gli occhi addosso e si prodigavano in serenate; oggi, semplificano, donando a essa un compact disc.

È mutata la forma, ma il messaggio è il medesimo. La tv è notoriamente lo specchio dei tempi e non poteva che trasformare il Festival in un'occasione ghiotta per soddisfare le moltitudini, che, difatti, hanno risposto con entusiasmo all'offerta musicale dei giorni scorsi, sintonizzandosi in massa su Raiuno, i cui indici di ascolto sono saliti a livelli impressionanti, altro che partite di calcio europeo, altro che Don Matteo.I numeri, crudeli e sinceri come sempre, dimostrano che Sanremo è seguito perfino da chi afferma ipocritamente di odiarlo. I detrattori dell'happening contribuiscono così, involontariamente, a renderlo impareggiabile sotto l'aspetto del gradimento. La realtà che emerge da questa constatazione è che l'Italia, per quanto abbia registrato stravolgimenti di costume, è ancora influenzata dalla propria tradizione mandolinara e, appunto, scanzonata. Canta che ti passa: sarà pure un luogo comune ma, come tutti i luoghi comuni, ha un valore indiscutibile, inalienabile. Gli elementi di unità nazionale sono pochi: il pallone, i jeans e le canzonette, nelle quali ci specchiamo con le nostre ansie, le tenerezze e le nostalgie.Anziani e giovani siamo tutti lì, inchiodati al teleschermo: per curiosità, per capire, per rimbambirci. Molti diffidano di Auditel e di altri misuratori analoghi di consenso, ma c'è poco da dubitare di essi: in misura non scientificamente accettata, le cifre non si possono contestare. Il Festival, trasmesso per ben cinque serate dall'ex monopolio, ottiene palesemente risultati che altri programmi nemmeno si sognano. Qualcosa vorrà pur dire. Niente di criptico.

Periodicamente, il Paese avverte il bisogno di tirare il fiato: vuole dimenticare i problemi della quotidianità enfatizzati dai media con i loro talk show ripetitivi e angosciosi; è stanco di chiacchiere petulanti e si rinfranca il morale accantonando la politica, la crisi delle banche, l'accoppiamento dei gay, gli uteri in affitto (tra poco avremo gli uteri in multiproprietà o gli uteri con la scritta «locasi»), lo spread eccetera. Nauseato dalle battaglie d'ogni dì, si tuffa in un mare di note, lasciandosi trasportare nelle pieghe recondite dell'anima. Perché non dovrebbe farlo, se questo è un modo sicuro per rilassarsi?Ogni Nazione ha le sue prerogative e le sue debolezze: la nostra strimpella. Alzi la mano chi la mattina non ha mai canticchiato nella doccia traendone benefici per l'umore. Spaghetti, pizza e acuti vanno d'accordo, si sposano e se non convivono felici, comunque ci trattengono dal suicidio. Accettiamoci per quel che siamo: un popolo che se la canta e se la suona senza illudersi di migliorare, avendo verificato che, chiunque gestisca il potere, il Paese non va avanti né indietro. Si inabissa.

Sanremo rivela il grado di benessere (e malessere) nazionale. Da oltre mezzo secolo, campiamo alla giornata: grazie ai progressisti, la sola cosa che progredisce è la precarietà. Una costante che fa a pugni con lo sviluppo.Si distingue Carlo Conti. È un notaio più che un conduttore. Annota, presenta, si dà un tono col piglio di un burocrate efficiente. È il simbolo della patria che mendica una settimana di ricreazione.

Inoltre, la maratona non è soltanto una gara che impegna le corde vocali; ha anche la pretesa di essere la sintesi delle mode politiche e ideologiche, una circostanza favorevole per portare alla ribalta le questioni più dibattute del momento. Stavolta, mentre infuriavano le discussioni sui matrimoni gay e roba simile, il teatro era un trionfo dell'arcobaleno, a dimostrazione che il festival è un'insalata russa in cui c'è posto per tutto, anche per le banalità spacciate per cose serie.

Cosicché, alla fine, ogni edizione di Sanremo è la radiografia impietosa dei nostri poveri cervelli.

Commenti