Cultura e Spettacoli

Il Principe per pochi eletti "Radio sovranista? Ridicola"

Il cantautore torna sul palco e boccia la proposta leghista: «I brani stranieri mi hanno cambiato la vita»

Il Principe per pochi eletti "Radio sovranista? Ridicola"

È un teatro, ma ha il sapore di una cantina, un punto d'incontro tra le strade della Garbatella, di fronte alla Roma televisiva dei Cesaroni, ma per fortuna più vero. È un incrocio che ha per nome un missionario francescano strangolato in Cina nei primi anni dell'Ottocento, uno degli ultimi santi e martiri: piazza Giovanni da Molini Triora. È qui che Francesco De Gregori, il principe, per brevità chiamato artista, si spoglia dei paramenti sacri del venerato maestro. Come ha detto qualche tempo fa, se proprio deve ritrovarsi addosso un'etichetta, meglio restare nella categoria meno imbalsamata del «solito stronzo». Suonerà qui per un mese, fino al 27 marzo, tutte le sere e ogni sera è diversa, come tra amici, con un pubblico senza selfie, che se va bene non supera le 230 persone, con la voglia di passare la serata a passo d'uomo, con lui che canta e magari la tristezza te la fa passare, accompagnato da quattro musicisti e due giovani coriste e qualche ospite a sorpresa, qualcuno che passava di là, il primo, l'unico per ora certo, è il fratello maggiore, con la barba da hipster e la chitarra in mano, il professore Luigi Grechi, l'autore di quella storia perduta e ritrova, che parla di Girardengo e Sante Pollastri: Il bandito e il campione.

Questa che si sta qui a raccontare è la serata delle prove generali. Si va a cominciare. «Mi piace stare qui, mi fa bene. È un modo per tornare a guardare chi ti ascolta in faccia. È un po' come riappropriarsi di qualcosa di reale, fisico, di corpi, facce, nomi e cognomi. È ritrovare certe giornate di troppi anni fa al Folk Studio, quando cantavo per quindici persone e mi sembrava meraviglioso». È uno spettacolo Off the record, sussurrato, in confidenza, senza registrare nulla, sfuggendo all'ansia di dover per forza archiviare quello che accade, certificarlo nella memoria di un telefonino e poi scaricarlo sui social per ammiccare al mondo, con tanto di sorriso, l'inevitabile «io c'ero». Senza un «chi se ne frega» a contorno.

C'è un invito, quando entri in teatro, a non fare foto o riprese. «Non è un divieto, ma un consiglio. È come un gioco, proviamo a ricordarci queste serata a memoria, come qualcosa che non si può replicare. E vorrei lasciare spazio all'inatteso, all'improvviso, dove tutto può accadere perché si sta qui senza copione e sceneggiatura, recitando a soggetto, e magari mentre stai suonando passa un barista a portare da bere o uno sconosciuto che attraversa il palco con una pianta tra le mani e cammina, ti guarda e se ne va. Non so se accadrà davvero, ma sarebbe bello lasciare le porte aperte all'imprevedibile».

È, se si vuole, una sorta di esperimento, senza giocare a fare il minimalista, perché poi c'è un'altra avventura con cui mettersi in gioco, il De Gregori da orchestra sinfonica, che comincia l'11 giugno alle Terme di Caracalla e finisce il 20 settembre all'Arena di Verona. Il titolo del tour è in inglese: Greatest Hits Live. Quando gli chiedono se è d'accordo con Mogol per fissare per legge i passaggi minimi in radio di musica italiana ci pensa su un paio di secondi e poi mira al cuore. «Mi sembra una stronzata. Non so cosa sarebbe stata la mia vita se non avessi potuto ascoltare fin da piccolo tutte le canzoni straniere che ho sentito. Sarei favorevole soltanto al fatto che il 33,3% periodico venisse riservato alle mie canzoni. Scherzo, ma è vero che le radio non mi passano, come non passano tanta gente come me».

Qui alla Garbatella i testimoni sono solo oculari e lo spettacolo cambia di sera in sera, perché le canzoni saranno ogni volta diverse, che con un filo rosso che segue lo stato d'animo e l'umore di quella giornata. Le prove, per esempio, si sono aperte con Viva l'Italia. «Per anni l'ho messa un po' da parte, quasi rinnegata. Adesso penso sia la stagione per ritrovarla mia». Poi Ma che razza de città, un brano di Gianni Nebbiosi. «Roma vole di' sortanto sei fottuto. Sei fottuto e puro tocca tira' avanti». È un messaggio per qualcuno? «No, che scherzi. Gianni l'ha scritta nel 1973. La Raggi non era neppure nata». Ci stanno Il cuoco di Salò, Cardiologia e la Leva calcistica del '68 e A Pa', ricordo di Pasolini, e San Lorenzo, gli omaggi a Bob Dylan con Via della povertà e Un angioletto come te. Questo, si diceva, alle prove. Poi, ieri, per la prima, si cambia in parte repertorio e ti ritrovi con Titanic, Banana Republic, che se ci fai attenzione sembra di sentire Lucio Dalla che fischia e applaude da lontano, e Sempre e per sempre, che è la promessa di una vita, cambiare sempre senza perdersi mai. «Sempre e per sempre tu. Ricordati. Dovunque sei. Se mi cercherai. Sempre e per sempre.

Dalla stessa parte mi troverai».

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