Cultura e Spettacoli

"Privacy e libertà. Così la Silicon Valley ha preso il controllo della nostra mente"

Il giornalista americano racconta il monopolio dei «Nuovi poteri forti», i colossi tecnologici che «pensano per noi» e ci fanno scegliere (e votare) in base ad algoritmi apparentemente neutri ma che riflettono i loro valori

"Privacy e libertà. Così la Silicon Valley ha preso il controllo della nostra mente"

Franklin Foer premette, nel suo libro, di avere dei precedenti con i signori della Silicon Valley. Infatti il New Republic, testata storica americana di cui era direttore, nel 2012 fu comprato da Chris Hughes, ex compagno di stanza di Mark Zuckerberg a Havard: due anni dopo, tra Foer (e gran parte della redazione) e il magnate della tecnologia il divorzio era totale. E dire che Franklin Foer, fratello del romanziere Jonathan Safran e oggi corrispondente del prestigioso The Atlantic, con il mondo della tecnologia è cresciuto: agli esordi era un redattore di Slate, rivista on line di Microsoft. Familiarità e scetticismo, insieme a molte ricerche, hanno prodotto I nuovi poteri forti. Come Google, Apple, Facebook e Amazon pensano per noi: un libro sulla scia della migliore saggistica e del giornalismo d'inchiesta americano, che negli Stati Uniti è stato un bestseller molto elogiato da critica e intellettuali, e che ora arriva anche in Italia (Longanesi, pagg. 298, euro 22), insieme al suo autore, che sarà al Festivaletteratura di Mantova (domani, ore 10).

Franklin Foer, il titolo originale del libro è World Without Mind, «mondo senza mente». Ci fa venire un po' di ansia.

«Non volevo trasmettere ansia. Piuttosto, varie altre cose. Primo: siamo in un momento in cui le macchine sostituiscono gli esseri umani. Le funzioni dell'intelligenza stanno diventando il lavoro delle macchine. Secondo: ci stiamo fondendo con queste macchine».

Fondendo?

«L'uomo ha da sempre un rapporto stretto con gli strumenti e la tecnologia; il punto è che queste sono macchine intelligenti. Google vorrebbe impiantarsi nella nostra testa: qualcosa che, quando io ero adolescente, sarebbe sembrato fantascienza».

C'è altro?

«Parlo anche del modo in cui i monopoli di queste grandi compagnie stanno distruggendo la tradizione economica e della conoscenza e, quindi, anche la mia vita e, in generale, la produzione della cultura».

Perché le aziende della Silicon Valley sono «i nuovi poteri forti»?

«Queste aziende sono integrate nella nostra vita, come nessuna prima di loro. Non solo perché ci offrono assistenti personali, ma perché ci danno le risposte: e questo dà loro un potere enorme sui mercati, sull'opinione pubblica e sulla nostra democrazia».

A rischio c'è innanzitutto la privacy?

«Ovviamente sì. Raccolgono qualunque briciola di dato che noi produciamo, la immagazzinano e la usano per creare dei dossier. Ci conoscono meglio di quanto ci conosciamo noi stessi».

Quanto è pericoloso?

«Questa scomparsa della privacy è molto pericolosa, perché crea il potenziale per una manipolazione. Esponiamo i nostri punti deboli: loro sanno quello che ci piace, quello che ci fa paura, quello che non sopportiamo...».

Pensa alle elezioni americane e a Cambridge Analytica?

«Le ultime elezioni hanno mostrato come Facebook abbia sfruttato i dati. E come si crei, da essi, un sistema di manipolazione».

A rischio c'è anche l'idea di autore.

«Sì. Non solo nel senso del copyright ma, in generale, di creatività. Dal Romanticismo in poi c'è sempre stata questa concezione, basata sull'idea del genio e dell'autorialità: gli individui sono capaci di produrre scritti e arte unici, frutto di una mente singolare».

Non è più così?

«Queste aziende fanno soldi sfruttando i prodotti della creatività altrui. Google non crea: indicizza tutto quello che gli altri fanno, e trae profitto da ciò. Non solo: c'è una sovrastruttura creata per giustificare tutto questo».

Come?

«Cancella quanto c'è di speciale nella conoscenza culturale ed enfatizza il collettivo, la collaborazione».

È quello che definisce il loro «finto populismo»?

«Certo. Il populismo glorifica la folla, la saggezza delle masse. E le grandi aziende accrescono il loro potere attaccando le élite, come fa Trump».

Tutto questo è legato al diffondersi dei movimenti populisti, dall'America all'Italia?

«Sì. Per tre aspetti. Innanzitutto, il populismo è reso possibile dal declino della qualità dell'informazione: per essere un buon cittadino devi avere accesso a buone informazioni».

E il declino della qualità dell'informazione...

«Beh, queste aziende hanno aiutato ad azzoppare i media tradizionali e a creare un senso di maggior relativismo nel mondo. Non si distingue più il vero dal falso: quello che conta, nel modo in cui forniscono informazioni, è solo ciò che è popolare. Hanno distrutto l'autorità dei media tradizionali, e i populisti si infilano nella voragine che Facebook e Google hanno scavato».

Secondo aspetto?

«Almeno negli Usa, Amazon ha distrutto il commercio, le piccole comunità locali. Questo contribuisce a un senso di sradicamento e di disuguaglianza, che aiuta a produrre il populismo. Infine c'è la manipolazione».

Le Big tech ci manipolano?

«Facebook usa dei filtri: capisce il tuo orientamento e ti fornisce le informazioni che vuoi. È quello che, in psicologia sociale, si chiama pregiudizio di conferma».

Lei ha Facebook?

«Lo avevo, e ne ero anche dipendente: mi piaceva molto il suo aspetto voyeuristico. Poi, dopo la testimonianza di Zuckerberg al Congresso, ho avuto una reazione molto negativa: è stato così evasivo, che ho avuto la certezza che fosse tutto venti volte peggio di quanto immaginassi».

È stato difficile lasciarlo?

«Sì, anche in concreto: le istruzioni non sono chiare, ho dovuto cercare su Google come fare...».

E la manipolazione aiuta il populismo?

«Se crei una macchina per la manipolazione, quelli che la sfruttano meglio sono i demagoghi. E, se credi solo alle notizie che ricevi e che ti vengono mostrate, indebolisci l'intelligenza. Quando i populisti diffondono una delle loro idee folli, la macchina della manipolazione te la inietta nelle vene».

E i media, in tutto questo?

«All'inizio Trump parlava sempre del certificato di nascita di Obama. Una teoria assurda e razzista. Tutti, alla Cnn e al New York Times, sapevano che non meritava attenzione, eppure hanno continuato a dargliela. E così è stato prodotto il candidato Trump».

I colossi hi-tech sono dei monopoli. Come sono nati?

«Per coincidenza, in una piccola penisola vicino a San Francisco sono nati i Grateful Dead, la Lsd, le comuni, la Apple, internet e la Silicon Valley. Ma non ci sarebbe la Silicon Valley, senza l'esperienza della controcultura».

Perché?

«Negli anni '60, l'America delle grandi aziende era molto burocratica. La Xerox aveva già creato l'interfaccia che poi sarebbe stato imitato da Steve Jobs: ma fu lui a capirne il potenziale, perché aveva lo spirito di chi prende dei rischi, di chi rompe le regole. Uno spirito che veniva dalla controcultura».

C'era un legame fra idealismo e tecnologia?

«Gli hippie sognavano che la tecnologia facesse lo stesso effetto delle droghe. Nei primi articoli sui videogame, queste esperienze sono descritte come un trip dopo aver preso un acido».

E oggi?

«La Silicon Valley cerca di riuscire dove gli anni '60 hanno fallito: creare un villaggio globale, usando i computer per collegare tutti in una rete, che ci connetta e ci convinca ad amarci l'un l'altro».

Il tutto grazie agli algoritmi, alla loro apparenza «neutra»?

«La schermata di Google è essenziale: come se i risultati che dà siano scientifici. Ma serve sempre un essere umano, per creare il motore di ricerca. E, quando ti danno i risultati, cercano di tenerti incollato il più possibile».

Lo stesso vale per Facebook e Amazon?

«L'algoritmo di Facebook ti dice quali notizie leggere per prime, quali nuovi amici farti, perché studia la nostra storia e i nostri contatti. Mentre quello di Amazon ti dice che cosa comprare».

Tutto questo porta...?

«Al fatto che, se sei uno dei tre gatekeeper - i monopolisti della conoscenza - hai l'abilità di modellare come tutti consumano la cultura e l'informazione, e di imporre i tuoi valori, nel mondo della conoscenza e in politica».

Il rischio è il conformismo?

«Queste aziende parlano di mente-alveare: celebrano l'idea che lavoriamo tutti insieme e scompariamo nella folla, come delle api. Anche se all'apparenza sembrano creare qualcosa di molto personalizzato».

Nel 2017 Google ha investito 12,5 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo.

«Ovviamente Google vuole fare soldi, e ne fa molti, ma sogna anche di trasformare l'umanità: il suo progetto principale è una Intelligenza artificiale che capisca il linguaggio umano e diventi più intelligente degli umani stessi».

E immortale?

«È tutto collegato. Sognano il giorno in cui gli esseri umani e l'intelligenza artificiale si fonderanno: il prossimo stadio dell'evoluzione umana, Darwin trapiantato nella fantascienza. Per loro è una visione gloriosa, quasi religiosa del mondo a venire».

Perché «i dati sono il nuovo petrolio»?

«Perché, se controlli i dati, diventi ricco come l'Arabia saudita. Ed è per questo che queste aziende sono molto difficili da sconfiggere. Eric Schmidt ama dire che Google può predire, quasi con certezza, dove sarai fra 24 ore».

Ha pensato a un antidoto?

«È come col cibo biologico. L'idea è di fare delle scelte che richiedono sacrifici di convenienza, comodità e soldi, per qualcosa che riteniamo più virtuoso.

Dovremmo prestare la stessa attenzione alle cose che mettiamo nella nostra testa e nella nostra bocca».

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