Cultura e Spettacoli

Lo psichedelico Terry Gilliam. Più che creativo, un creatore

Il regista americano, ex dei Monty Python, racconta la sua (incredibile) vita, dall'infanzia «imprenditoriale» a Hollywood. Tra testi, foto, ritagli e immagini. Con umorismo e irriverenza

Lo psichedelico Terry Gilliam.  Più che creativo, un creatore

Nessuno si aspetta l'Inquisizione spagnola. Nemmeno Terry Gilliam. E infatti, un paio di mesi fa, poco prima dell'uscita dell'edizione anglosassone di Gilliamesque (oggi arrivata in Italia, Big Sur, pagg. 297, euro 30; trad. di Assunta Martinese), il fantasmagorico volume concepito per celebrare i suoi 75 anni, sorpresa, paura e una spietata inefficienza hanno colpito persino l'unico membro americano dei gloriosi Monty Python. Variety, la bibbia dello show business globale, ha postato il suo necrologio, lasciandolo online il tempo necessario a fargli fare il giro del mondo.

Quando se ne sono accorti, hanno porto le loro sentite scuse, ma ormai il regista di Brazil si era ripreso dallo shock e in puro stile gilliamesco ha twittato il suo personalissimo rifiuto di accettarle: «Mi scuso per essere morto, specie con quelli che hanno già comprato il biglietto per le mie prossime apparizioni pubbliche, ma Variety ha annunciato la mia dipartita. Se ritrattano, non gli credete!». Questo è il Terry Gilliam che vogliamo, quello che ha ispirato i memorabilia più grotteschi della generazione dei baby boomers; quello di cui abbiamo aspettato per due anni la distribuzione di Zero Theorem, il suo ultimo, distopico film, presentato a Venezia nel 2013; quello che sta lavorando, finalmente, a una miniserie tv dal provvisorio titolo The Defective Detective. E più o meno questo, mai domo, è lo stile di Gilliamesque, che Gilliam stesso ha sottotitolato «Un'autobiografia pre-postuma».

Lo spirito non è per nulla quello del memoir classico. Chi si aspettasse di scrutare nella mente del genio per carpirne tecniche boriose e anche un po' noiose, ha sbagliato volume. Qui prevale la meravigliosa sbruffonaggine creativa che ha incatenato e incantato i fan dei Monty Python prima e de L'esercito delle dodici scimmie poi, ovvero trecento pagine di colori ed esplosioni grafiche così potenti che sembra di sentire anche suoni e odori. Più che creativo vien fuori creatore e anche se è nato nel 1940, a leggere i suoi «ricordini» di ragazzo avrebbe molto da insegnare alla Generazione Z sulla gestione non-creativa del denaro nel periodo post-Lehman Brothers: fin da piccolo era esperto in partita doppia e segnava da un lato del suo quaderno contabile i ricavi (paghette, profitti da lavoretti occasionali...), dall'altro le uscite, volontarie, come dolciumi e petardi, o dettate dal fato, come il danaro perso. Il rendiconto profitti/perdite è un fattore chiave nella ricostruzione autobiografica, perché permette di seguirlo al college dove si specializza come lavavetri: «Al secondo anno lasciai... Lavoravo di notte e mi dissi 'fanculo, non lavorerò mai più per soldi in vita mia».

Così se ne va e trova un posto in un teatro per bambini, dove costruisce le scenografie, si dipinge di verde e fa l'orco a beneficio dei figli delle celeb dell'epoca, da Hedy Lamarr a Danny Kaye. Ma una settimana dal debutto del suo Alice nel Paese delle Meraviglie, mancano i soldi per terminare le scenografie e i ragazzini bigiano le prove. Rispetto a quel periodo da incubo, il disastro di L'uomo che uccise Don Chisciotte è stato una passeggiata. Psichedelico, visionario, con montaggi di ritagli di giornale, frame di film e foto d'epoca che sembrano stop-motion in progress, Gilliamesque è il libro giusto per ricordarsi ora che ha appena passato i tre quarti di secolo, che Gilliam ha lavorato con Bruce Willis, Brad Pitt, Johnny Depp e li ha sempre trattati come debuttanti anche se erano già superstar. E questo perché da creatore ha sempre affrontato le difficoltà sul set come solo un piccolo buddha illuminato dall'immaginazione potrebbe fare: quando durante le riprese di Parnassus morì Heath Ledger, il protagonista, cambiò la sceneggiatura in progress e divise quel ruolo per tre suoi amici del calibro di Jude Law, Colin Farrell e Johnny Depp.

E il pre-fallimentare (nel senso che viene dato ogni volta in produzione e poi ciclicamente abortito) film su Don Chisciotte è stato così desiderato e così frustrato dal 2002 a oggi, che ha partorito un documentario, Lost in La Mancha, sul making of di qualcosa che non esisterà mai, visto che nel frattempo il progetto, ora finanziato da Amazon per il 2017, è completamente cambiato. Conta leggere questo libro, è vero, perché ci sono scritte molte cose private e retroilluminanti che persino i non fan adoreranno sapere. Ma conta soprattutto, per una volta, tornare a «guardare le figure», perché è l'energia lisergica che viene dalle immagini a vincere la guerra.

Anche quella contro la morte, alla faccia di Variety.

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