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Quell'ideologia che ha spento la Stazione Marconi di Coltano

Qui l'inventore lanciò i primi segnali radio intercontinentali Ma era fascista. E solo ora il centro verrà recuperato. Forse...

Quell'ideologia che ha spento la Stazione Marconi di Coltano

Un pregiudizio ideologico è pesato per almeno mezzo secolo sulla Stazione Marconi a Coltano, piccola frazione alle porte di Pisa. La prima stazione radio intercontinentale d'Italia che, nel 1911, era la più potente al mondo, coprendo col suo segnale circa un sesto della superficie terrestre, è oggi il mausoleo di un'opera d'altissima ingegneria finita in malora anche per colpa dell'ideologia. Macerie, una palazzina aggredita dalle sterpaglie, il tetto crollato: è ciò che resta di quel luogo glorioso da dove, ai primi del '900, iniziò l'era senza fili, poiché da qui partì il primo segnale a onde lunghe in grado di oltrepassare il deserto del Sahara e di raggiungere Massaua, in Eritrea. Un altro segnale raggiunse il Canada e creò il primo ponte radio fra l'Europa e il continente americano. Vent'anni dopo, sempre attraverso la Stazione di Coltano, Guglielmo Marconi, il suo inventore, accese dal proprio ufficio di Roma le luci della gigantesca statua di Cristo a Rio de Janeiro per le celebrazioni dei 439 anni dalla scoperta dell'America.

Ma Marconi, il grande scienziato premio Nobel nel 1909 e padre dei moderni sistemi di telecomunicazione, era fascista e aveva aderito al PNF «per convinzione, non per convenienza. Le ripeto per convinzione - si legge in Marconi. Il ragazzo del wireless (Hoepli, 2015) in cui si riporta il colloquio che lo scienziato ebbe con il marchese Solari -; poiché chi è stato all'estero, come sono stato io, e ha sofferto per la poca considerazione che gli stranieri avevano in passato per il nostro paese dominato dal disordine e dall'indisciplina, si sente ora orgoglioso nel constatare il nuovo aspetto assunto dall'Italia sotto il governo di Mussolini. La mia adesione al fascismo è perciò sincera e con questa mia adesione ritengo di potere servire ancora utilmente il nostro paese».

Una storia che forse è meglio dimenticare, per il Comune di Pisa che l'estate scorsa ha cancellato la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, in autunno ha istituito il «patentino antifascista» per chi vuole chiedere il suolo pubblico anche solo per vendere verdure o lingerie, e sabato scorso ha organizzato con all'Anpi la marcia «contro tutti i fascismi» in concomitanza con la Giornata della Memoria. Finanche il sindaco, Marco Filippeschi, ex deputato ed esponente di rilievo del Pd pisano, ha ammesso che sulla Stazione Marconi è pesato, nel dopoguerra, un pregiudizio ideologico e lunedì ha finalmente annunciato il primo passo verso il recupero del monumento. Dopo decenni di promesse mai mantenute, il Comune è finalmente riuscito a ottenere dal Demanio il bene in concessione temporanea; due anni, per ora, giusto il tempo di mettere a punto il progetto che, nel libro dei sogni, a cessione perfezionata vedrà nascere un polo tecnologico e delle telecomunicazioni. La mossa è parsa un'accelerata in vista della doppia tornata elettorale, politica e amministrativa. Perché questa frazione, nell'incantevole campagna dove i Medici ebbero una tenuta e che era un'area paludosa prima che Mussolini la bonificasse, ha attirato l'interesse dell'amministrazione pisana, negli ultimi decenni, non per la sua Stazione, ma per installarvi, secondo il centrodestra, una specie di ghetto per nomadi, che nel gergo politicamente corretto ha preso il nome di «Progetto Città Sottili». Nel 2002, l'amministrazione comunale guidata da Paolo Fontanelli, oggi deputato questore uscente della Camera, fuoriuscito dal Pd e ricandidato con Liberi e Uguali, approvò la costruzione a Coltano di case per le famiglie rom, costate un milione e 100mila euro di fondi europei per, si diceva, «superare i campi rom». Ma il progetto, destinato all'inserimento di quelle famiglie nella società civile, si rivelò «un fallimento sociale», denuncia Fratelli d'Italia, ed oggi è ancora una nota dolente per la città.

Negli stessi anni, moltissime e vane sono state le battaglie e gli atti ispettivi del centrodestra pisano per riportare l'attenzione sulla Stazione. Nel 2002, durante un governo Berlusconi, un consigliere regionale di Alleanza Nazionale interessò l'allora ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri e presentò il progetto di una Fondazione. L'anno dopo, la Stazione venne salvata dal vortice delle cartolarizzazioni grazie alla responsabile dei beni storici del Demanio e ai Lions Club di Pisa e di Livorno. Nel 2009 il sindaco Filippeschi, spinto anche dal comitato sorto per salvare la Stazione, s'impegnò a sollecitare il Quirinale e a coinvolgere la Rai, che qui ha un impianto di trasmissione; l'anno dopo intervenne il Fai; nel 2014 il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, si impegnò a destinare un finanziamento per il recupero della Stazione e di altre importanti opere di Pisa. La firma per quei soldi, però, è arrivata soltanto alla fine del 2017, dopo l'appello-denuncia di Elettra Marconi, figlia di Guglielmo, la quale, intervistata al Tg1 ha parlato chiaramente di «vergogna nazionale». Persino la targa donata dagli Stati Uniti per onorare la memoria di Marconi è stata vandalizzata e perduta, mentre in altre città del mondo viene custodita con riverenza e rispetto per il genio italiano, oltre ogni ideologia.

La Stazione Marconi a Coltano sembra l'esempio di una memoria a senso unico e intrisa di pregiudizio. E Coltano è un luogo scomodo per chi non va oltre gli steccati ideologici. Qui, fra il maggio e il settembre 1945, fu allestito un campo di concentramento dove furono rinchiusi in prigionia 32mila ex militari della Repubblica Sociale Italiana. Tutti fascisti. Fra questi c'era anche il poeta Ezra Pound. Il cippo che commemora quei morti e davanti al quale ogni anno veniva celebrata una Messa, negli anni '90 fu preso a picconate dagli antifascisti.

L'ennesima picconata alla memoria.

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