Cultura e Spettacoli

Ridi con stile, ridi con rabbia, ridi anche di te Basta che ridi

Luigi Mascheroni

La vita, per lo più, è pianto e sofferenza. Ecco perché, forse, si dice «morir dal ridere». Il meglio viene sempre alla fine.

Eppure da qualche parte bisogna iniziare. Voi, da dove partireste se vi commissionassero un'antologia di racconti comico-umoristici? Marco Rossari, scrittore che ultimamente si dev'essere divertito parecchio (ha appena curato una nuova edizione de Il circolo Pickwick), ci deve aver pensato a lungo prima di mettere insieme i «suoi» Racconti da ridere (Einaudi, pagg. 268, euro 19,50). Poi, però, come un comico prima di uscire sul palco, s'è buttato. E spaziando dalla «A» di Martin Amis alla «W» di P.G. Wodehouse, tra grandi classici (Il naso di Gogol' è una sicurezza) e piccoli tesori perduti (se non lo conoscete, vi consigliamo La sorte del conte N. del polacco Slawomir Mrozek, 1930-2013) ha infilato una serie di storie da ridere, da sogghignare, da sbellicarsi... Mai leggere ha fatto così bene.

Qui dentro ci sono tutte le sfumature del comico (arte difficilissima, molto più della tragedia). E tutti i toni della risata. C'è chi ride con stile, come Achille Campanile (il suo Quelli che vanno a letto è delizioso) o Alan Bennett, ad esempio. C'è chi ride con rabbia, e allora, fra tutti, si deve leggere l'ir-re-sis-sti-bi-le Natale significa dare di David Sedaris. C'è chi ride di sé (si segnala Come ho preso lo scolo di Tiziano Scarpa, ma se proprio dobbiamo fare le pulci all'antologia, avremmo scelto, ex cannibale per ex cannibale, qualcosa dalla raccolta Il momento è delicato di Niccolò Ammaniti). E poi c'è chi ride di te (beh, non male la parodia di Lolita del «gerontofilo» Umberto Eco, titolo: Nonita) e chi ride dell'imperscrutabile: lo fanno Michele Mari, Joe R. Lasdale e Henrich Böll con un racconto perfetto per chiudere l'antologia: L'uomo che ride.

Il lettore che ride, si divertirà. Non c'è che dire. C'è persino un brevissimo racconto inedito di Margaret Atwood che prende perfidamente in giro il «politicamente corretto» provando a raccontare la fiaba di Cenerentola senza i pregiudizi della povertà (in fondo aveva un casa con un camino), della bellezza (meglio evitare modelli estetici non raggiungibili da tutti), della cultura dominante (perché dev'essere bianca e non «figlia dell'ibridazione interrazziale»?), degli stereotipi femminili (via la matrigna, dentro un patrigno violento), «E poi cosa sono questi era, una volta? Basta col passato, il passato è morto. Raccontami di adesso».

E comunque, adesso, si ride meno bene, in fondo. E se rileggete Dal diario di Adamo di Mark Twain, anno 1883, capirete perché.

Per il resto, buone risate.

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