Cultura e Spettacoli

Riscopriamo il fotoromanzo. Era letteratura per immagini

"Roman-Photo" raccoglie il meglio delle riviste popolari che hanno fatto sognare negli anni Cinquanta e Sessanta

Riscopriamo il fotoromanzo. Era letteratura per immagini

Lei ha la testa di capelli biondi abbandonata sul cuscino, gli occhi chiusi, sapientemente disegnati dal trucco; lui, sbarbato di fresco, giacca scura, la bacia sulle labbra ancora serrate. È un fermo-immagine di Qualcosa che si chiama onore, storia pubblicata su Bolero Film, il rotocalco italiano uscito tra il 1950 e il 1975, la rivista prediletta dal pubblico femminile, ma seguita anche dagli uomini, che aveva accompagnato la trasformazione del nostro Paese dalle macerie del dopoguerra al boom economico.

Noi lo chiamiamo fotoromanzo, i francesi invertendo i termini Roman-Photo, a sottolineare che pur sempre di letteratura si tratta. Perché oltralpe per tutto il 900 i generi minori, le pratiche basse, sono stati considerati di pari dignità rispetto alla cultura alta e autoriale. Basti pensare, a esempio, ai dipinti di Francis Picabia degli anni '40, copiati a piè pari da giornaletti da barberia ad alto tasso erotico; oppure a quanto la Nouvelle Vague debba al noir e al polar, versioni europee del cinema poliziesco made in USA.

Roman-Photo è il titolo di una bellissima mostra, allestita presso il Mucem di Marsiglia (una vera capitale del Mediterraneo, moderna e multiculturale, così lontana dalle suggestioni nostalgiche di Jean-Claude Izzo) fino ad aprile. Letteratura per immagini, dunque, che i francesi fanno risalire alla tradizione dei romanzi di Balzac pubblicati a puntate e che trovano nell'utilizzo della fotografia il mezzo più adatto quando si parla di emozioni forti, sensazioni che vengono dal cuore. Francia e Italia, con modulazioni appena differenti, hanno sviluppato questo fortunato filone della paraletteratura almeno fino a quando la stampa riusciva a prevalere sulla televisione. E proprio insieme al piccolo schermo, l'editoria popolare ha giocato un ruolo determinante nel processo di alfabetizzazione dei cittadini.

In queste storie fondate comunque sulla realtà le parole d'ordine rivelano i caratteri primari di un Paese rileggendone in maniera paradigmatica usi e costumi nella fase evolutiva: passione, seduzione, Dolce Vita, gelosia, abbandono, fatalità, dramma, rottura, tradimento, benedizione, amore, violenza, coppia, benessere, adulterio, incontro, voluttà. Il fotoromanzo è stato il più grande successo editoriale del dopoguerra: sequenze fotografiche commentate da storie in piccoli fumetti, le nuvolette. In Italia arriva prima, in Francia si sviluppa negli anni '60 (un francese su tre ne era avido lettore), eppure solo oggi viene considerata alla stregua di una forma d'arte anche per la rarità collezionistica. Niente affatto accomodante, per nulla scontato il lieto fine, i racconti passano da ambienti rurali alle metropoli, complicando i conflitti interiori di personaggi che si muovono spesso indifferenti alla morale comune, dove protagonista è l'amore malato, complicato in triangoli sentimentali, passioni indicibili, figli illegittimi, sofferenze e lacrime. Se allora gli intellettuali li trovavano stupidi, i cattolici immorali e i comunisti anestetizzanti, oggi i fotoromanzi si sono presi una bella rivincita, poiché buona parte delle serie tv non ne sono che l'ideale evoluzione e scatenano lo stesso tipo di fanatismo.

Le nostre nonne compravano Bolero Film, edito da Mondadori, ogni settimana, seguendo storie di titoli roboanti: Il giorno dell'odio, La montagna della peccatrice, Il figlio rubato. C'entra, non poco, l'estetica del cinema neorealista se è pur vero che il giovane Michelangelo Antonioni, nel 1949, prima del debutto ufficiale, realizzava L'amorosa menzogna, documentario di 10 minuti con due star del fotoromanzo, Anna Vita e Sergio Raimondi. Le nonne francesi, invece, leggevano Nous Deux, fondato nel 1947 peraltro da un italiano, quel Cino Del Duca considerato il padre della stampa sentimentale; una versione più buonista, colorata ed edificante rispetto alle edizioni nostrane.

Storie molto spesso anticonformiste, a cominciare dalla messa in crisi del matrimonio borghese. Le donne -una certa Sofia Lazzaro, star di Sogno, e non ancora Sophia Loren, oppure Dalida, Sylvie Vartan- se vogliono il maschio se lo prendono; gli uomini - il Johnny Hallyday, eroe de La belle avventure de Johnny- si vestono bene, guidano auto sportive, disprezzano le convenzioni borghesi. Certo ai francesi non manca mai l'approccio intellettuale e snob; persino i Situazionisti di Guy Debord considerano il Roman Photo l'arte d'avanguardia dei loro tempi, ci giocano, lo trasformano in strumento sovversivo a partire dai nudi (femminili) esposti generosamente.

Non c'è sottogenere che la narrativa popolare non abbia affrontato negli sviluppi successivi (sono gli stessi anni in cui il cinema di genere ottiene un successo planetario): dal melodramma alla storia, dall'horror erotico di Satanik (Killing in Francia), materializzazione delle pulsioni e dei vizi più nascosti, non escluso il sadomasochismo, alla quasi pornografia di Supersex che ci ha regalato uno dei primi divi hard, il mitico Gabriel Pontello. Prima della rivoluzione video degli anni '70, le riviste erotiche erano infatti l'unico mezzo possibile di consumo del porno, comprato di nascosto in edicola, nascondendolo tra le pagine lecite de L'Espresso e di Liberation.

Ambientato nel West o nei paesaggi esotici. Strumento di propaganda elettorale, tra '58 e '64 il Pci diede il proprio benestare alla pubblicazione della serie Cuore di emigranti, dove i giovani votavano senza indugi Partito Comunista.

Tra le curiosità della mostra, la riduzione di A bout de soufflé, il primo capolavoro di Jean-Luc Godard, manifesto della Nouvelle Vague, rivelatore di Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg. A questo punto, però, il fotoromanzo si è trasformato da pura artigianalità a fenomeno compiutamente industriale e i grandi autori non sono rimasti indifferenti.

Roman-Photo, dunque, non è solo l'esaltazione nostalgica dell'età dell'oro dell'editoria, ma la giusta premessa per linguaggi ancora validi, che hanno cambiato solo il supporto ma dicono le stesse cose.

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