Cultura e Spettacoli

«Riscopro Rossini e Leopardi maestri di anticonformismo»

Il regista in scena a Pesaro con l'atteso «Aureliano in Palmira» Poi sarà in gara a Venezia con il film «Il giovane favoloso»

«Riscopro Rossini e Leopardi maestri di anticonformismo»

da Pesaro

Il musicista favoloso. «Come definirlo altrimenti? Rossini mi turba nel profondo. È avvolgente, sensuale, moderno. Più che moderno: è fuori del tempo». E non è un caso che l'entusiasmo di Mario Martone per il compositore di Aureliano in Palmira (l'opera di cui il regista napoletano firmerà un attesissimo allestimento, domani al Rossini Opera Festival di Pesaro) sia lo stesso che lo lega a Giacomo Leopardi, protagonista di quel Il giovane favoloso che fra un mese debutterà in concorso alla Mostra di Venezia. «Non solo appartengono entrambi alla stessa epoca, alla stessa terra. Non solo entrambi ne fuggirono, alla ricerca di più liberi orizzonti - riflette Martone -. Soprattutto, sia Rossini che Leopardi, seppero creare un mondo espressivo che è solo loro, tipicamente loro. E che per entrambi è fuori del tempo».

Cominciamo da Rossini. Aureliano in Palmira è ignota ai più, mai apparsa a Pesaro: è terreno vergine per un regista. Uno stimolo o un rischio?

«Una gioia. A Pesaro ho già diretto altri due titoli rossiniani semi-sconosciuti, poi di gran successo: Matilde di Shabran e Torvaldo e Dorliska . Questo Aureliano ha una drammaturgia complessa; troppo lunga, secondo qualcuno. Ma seguendola attentamente salta fuori un disegno teatrale molto coinvolgente. Proprio perché ignote ai più, queste opere bisogna trattarle con onestà intellettuale. Inutile ribaltarle o attualizzarle (come spesso si fa con quelle troppo conosciute): meglio leggerle, semmai, secondo il gusto contemporaneo».

La storia è quella dell'amore fra i principi persiani Zenobia e Arsace, invano contrastato dall'imperatore romano Aureliano. Un pretesto mitico-favolistico che conta poco rispetto alla musica?

«Tutt'altro. Episodio autentico (sia pure romanzato) e personaggi storici. Per un tema addirittura politico: lo scontro fra Occidente e Oriente. ll tono, poi sarebbe quello fastoso, imperiale. Ma io ho lavorato di sottrazione, invece, per un gioco teatrale molto più asciutto. In scena solo un labirinto di teli mobili, che andrà via via dissolvendosi, come sabbia nel deserto. E rivelerà il fortepiano e il violoncello che accompagnano a vista i recitativi, molto importanti, in quest'opera. Quanto all'“happy end” ho pensato a una soluzione che farà intuire al pubblico come - nella realtà storica - le cose andarono diversamente».

Ci sono poi due curiosità: l'unico ruolo per castrato scritto da Rossini, e la stessa sinfonia che, in seguito, il musicista riutilizzerà per Il barbiere di Siviglia .

«Già. E siccome quest'anno a Pesaro va in scena anche il Barbiere , chissà quanti penseranno d'aver sbagliato teatro... Comunque sulla sinfonia non farò alcuna regia: i grandi maestri m'hanno insegnato che una sinfonia serve a preparare ciò che segue. Non va toccata. Quanto ad Arsace, il ruolo per castrato, sarà sostenuto ovviamente da una donna che finge d'essere un uomo. Il che accentuerà indirettamente un altro conflitto sottolineato dalla mia regia: quello fra il mondo femminile (Zenobia, le sue ancelle, lo stesso Arsace) e maschile (Aureliano, che vuole Zenobia solo come segno di conquista, e non per amore)».

E arriviamo alla curiosa congiunzione che lega il Rossini del suo spettacolo al Leopardi del suo film.

«La musica, innanzitutto. Ne Il giovane favoloso ho usato il Rossini della Matilde , dello Stabat Mater , delle Sonate per Archi, scritte ad appena dodici anni. Perché? Perché c'è una vicinanza innegabile, non solo territoriale o storica, fra questi due geni. Si, lo so: Gioachino viene spesso considerato un reazionario, un codino; Giacomo un malinconico intristito dai suoi guai di salute. Ma si tratta solo di stereotipi. In realtà entrambi erano soprattutto spiriti liberi».

E per questo sono stati così malintesi?

«Leopardi soprattutto. Che ha pagato cara questa sua “diversità”. Con l'isolamento e l'emarginazione».

Eppure, dopo il risorgimentale Noi credevamo , lei dichiarò che non avrebbe più girato un film sull'800.

«Non sono riuscito a farne a meno. La figura di Leopardi mi ha rapito. In ogni suo verso (come Rossini in ogni nota, del resto) lui mette la sua anima. Si mette in gioco, si espone totalmente. In un poeta che si dà tutto, tu ti riconosci tutto.

E poi, come resistere ad un giovane che, pur guardando e traendo ispirazione da un passato antichissimo, è proiettato verso il futuro? Aveva ragione Cesare Garboli quando di lui scrisse: “Sembra un meteorite piombato per errore in mezzo ai giorni nostri”».

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