Cultura e Spettacoli

La rivoluzione giudiziaria dalla speranza al dramma

Al via le riprese di 1992, serie Sky sull'inizio di Tangentopoli. Tra inchieste, potere, suicidi. L'ambizione? Essere oggettivi. Non sarà facile: la materia ancora scotta

La rivoluzione giudiziaria dalla speranza al dramma

Giugno 1992, il segretario del Psi di Lodi si spara alla tempia, pochi giorni dopo essere stato interrogato da Antonio Di Pietro. A lungo gli inquirenti cercarono, inutilmente, una tangente di 400 milioni di lire.

Marzo 2013, il capo della comunicazione di Mps, entrato marginalmente nell'inchiesta sulla banca senese, si butta dalla finestra del suo ufficio, pochi giorni dopo la perquisizione subita dalla Guardia di Finanza.

Vent'anni fa, oggi. Sembra di rivedere lo stesso film, la stessa realtà. La stessa fiction?

Fra la realtà della cronaca e la messa in scena televisiva, ieri è stato battuto il primo ciak milanese della fiction 1992, mega-serie in dieci episodi, girata in formato panoramico cinema, di fatto un film a puntate, su «L'anno che ha cambiato l'Italia». Attraverso gli occhi e le storie di sei personaggi comuni. Proprio qualche settimana fa, Giorgio Napolitano ha detto: «Siamo come nel 1992, ma senza la speranza».

Prodotta da Sky, girata da Giuseppe Gagliardi, ideata e pensata da Stefano Accorsi - anche protagonista (che qui si sdoppia, e oltre al ruolo di attore, tenta anche quello, più difficile, dell'intellettuale pop), trasmessa il prossimo autunno e con l'ambizione massmediatica di seguire la «coda lunga» di Romanzo criminale, la serie 1992 è stata studiata e preparata per due anni, tra ritagli di stampa, filmati d'archivio, instant book e incontri con protagonisti dell'epoca: magistrati, politici, giornalisti, dal pm Piercamillo Davigo al leghista Giancarlo Pagliarini, ministro del Bilancio nel primo governo Berlusconi. Ci sono i comizi di Umberto Bossi (un problema non da poco, per le riprese di ieri sera a Varese, è stato trovare delle credibili cravatte d'epoca per le comparse dei militanti della Lega Nord), c'è la storica «chiamata di correo» di Bettino Craxi in Parlamento, ci sono i suicidi degli imprenditori inquisiti, ci sono - ieri come oggi - i poliziotti del pool che raccontano i fatti propri, e quelli degli altri, alle loro amiche (amanti?) al bar.

Ciak, si gira. La prima scena milanese è a La Belle Aurore di via Abamonti, dove è stato ricostruito («Con pochi ritocchi, il locale è già perfetto, è rimasto fermo nel tempo» dice la scenografa) il «Bar dei giornalisti» vicino a Palazzo di Giustizia, dove i cronisti della carta e delle tv si ritrovavano fra un arresto e un avviso di garanzia. Un telefono a muro della Sip coloro topo, un Macintosh portatile, un volume sgualcito delle Pagine Gialle... e entri nello «spirito del tempo» - oggi diremo il mood - del 1992. «Non vogliamo dare giudizi su Tangentopoli, dire se quello che fu fatto da Mani Pulite fu giusto o sbagliato. Vogliamo solo raccontare cosa accadde in quell'anno decisivo per il Paese, come lo visse l'Italia, come cambiò gli italiani: vorremmo far rivivere l'energia e la speranza che in quel pugno di mesi colpì tutti quanti, al di là degli esiti politici e giudiziari dell'inchiesta», è l'ammissione di Roberto Amoroso, direttore creativo di Sky. «In quell'anno, per un momento, si credette che tutto potesse cambiare. C'era una senso di incredulità e di vertigine di fronte a quel mutamento epocale. Noi vogliamo dire qualcosa sull'alba della rivoluzione», è la fiducia di Accorsi. E sul tramonto, della rivoluzione?

La serie 1992, sul copione, non dà giudizi, né risposte, né spiegazioni. «L'amarezza per quello che avrebbe potuto essere e non è stato, non c'è nella fiction, semmai ci potrà essere negli occhi di chi la guarderà», taglia qualsiasi polemica Accorsi, che nella produzione è la testa pensante e nella fiction è un pubblicitario rampante costretto a fare i conti, diversamente da tutti gli altri personaggi proiettati verso il loro futuro, con il proprio passato, nella Bologna del '77. Poi c'è l'agente di polizia giudiziaria (Domenico Diele) che al momento giusto della vita si trova al posto giusto della Storia, nella squadra di Antonio Di Pietro. C'è un reduce della Guerra del Golfo (Guido Caprino) che improvvisamente e inaspettatamente, in quell'anno rovente, si ritrova eletto alla Camera con la Lega Nord e ci si chiede se saprà resistere alle lusinghe del Potere... C'è l'aspirante soubrette (Miriam Leone), già amante di un imprenditore finito male, in cerca di un nuovo “amico” influente. C'è sua sorella, giornalista, in cerca dello scoop della vita. E c'è «Bibi» (Tea Falco, di rara bellezza), orfana di un ricco industriale lombardo suicida, che si trova a 24 anni con in mano i destini dell'azienda di famiglia: dovrà spiccare il salto sul baratro che divide la donna che credeva di essere da quella che forse è davvero.

Pericolosamente sospesa fra il rischio del “revisionismo storico” e l'ambizione dell'affresco sociale di un'Italia vestita come vent'anni fa ma con un profilo assai simile all'oggi, la serie tv 1992 - scritta da tre “ragazzi” che all'epoca avevano 13-15 anni - tenterà di raccontare, tra il refrain di Hanno ucciso l'uomo ragno e un nuovo tipo di giacca senza più quelle orribili spalline imbottite di Armani, un cambiamento che si pensò definitivo. E che probabilmente si scoprirà, spenta la tv, non esserci mai stato. O non c'è stato davvero.

È solo lo specchio, vent'anni prima, di ciò che vediamo oggi.

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