Cultura e Spettacoli

A Robert Indiana è bastato un po' di «Love» per diventare un'icona dell'arte (pop)

Morto a 89 anni l'autore della celebre scritta, che è arrivata ovunque

Luca Beatrice

Talvolta basta una sola opera per scalare le vette dell'immortalità e così una sola invenzione diventa un'icona che può attraversare i tempi. La scritta LOVE, con la O inclinata, in rosso su sfondo verde e blu ha garantito a Robert Indiana un posto tra gli artisti più importanti della Pop Art americana e non solo. Un colpo di genio che gli ha permesso di vivere di rendita dal 1964, da quando cioè disegnò questo logotipo su una cartolina di Natale per il MoMA che poi divenne un francobollo nel 1973. LOVE, pur sempre uguale a se stessa, è stata declinata in innumerevoli forme, dal quadro al multiplo, dalla scultura monumentale al manifesto, simbolo di un'altra America pacifista e libertaria, hippie e fricchettona, che si mobilitava contro la guerra in Vietnam e in favore di qualsiasi tipo di amore, meglio se anticonvenzionale.

A Robert Indiana (al secolo Robert Clark), scomparso ieri nella sua casa del Maine a 89 anni, si deve quindi una delle immagini più celebri e persistenti del secondo Novecento, che può competere con la Marilyn di Warhol. Ma a differenza di Andy, Indiana si ferma lì, non c'è una seconda opera così potente, neppure l'HOPE disegnato nel 2008 per salutare la vittoria di Obama nelle presidenziali, stessa formula ma minore efficacia.

Tornando a LOVE, il motivo si è moltiplicato all'infinito e l'artista non è riuscito a difenderne l'autorialità fino in fondo. La trovi stampata sulla t-shirt, sui flyer, in oggetti di design, è stata tradotta in diverse lingue e addirittura resa parodia, per esempio nella grafica discografica di Rage Against the Machine, Oasis, Cesare Cremonini. Fu sulla copertina di Love Story, il romanzo strappalacrime di Erich Segal ed è diventato emblema degli skaters. Ne esistono però bellissime versioni monumentali, a cominciare da quella sulla Sixth Avenue a Manhattan, quindi a Filadelfia, Las Vegas e tante altre città d'America. Quindi a Taipei, Tokyo, Singapore, Bilbao, Lisbona, Madrid, Montreal e Gerusalemme: non c'è frontiera linguistica che tenga, LOVE è segno globale.

Talmente identificato con quell'opera che è davvero difficile ricordarsi altro di Indiana. Warhol gli voleva bene e lo fece «recitare» nel suo film Eat (1964) in cui stava lì a mangiarsi, cappello in testa, un fungo per alcuni minuti. Prigioniero insomma dell'amore, anche se gli oltre 4 milioni di dollari di aggiudicazione nel 2011 hanno fatto scalpore, trattandosi poi alla fine di un multiplo riproposto allo sfinimento.

È sufficiente tutto questo per ritenere Robert Indiana un grande nell'arte? A mio avviso no, soprattutto se la si considera un linguaggio elitario e di ricerca, però non c'è dubbio che egli sia stato molto intelligente nel capire quale forza penetrativa può stare dietro a una parola legata a un messaggio, resa forma e colore. Questa la chiave di uno straordinario successo popolare.

Ce la ricorderemo a lungo dunque, molto di più la scritta che l'artista.

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