Cultura e Spettacoli

Russo, americano e sudamericano Ecco le tre definizioni del termine

Indiscutibili le radici socialiste. Infatti il Sessantotto italiano...

di Nicola Matteucci

È divertente che a introdurre questa parola nel dibattito politico sia stato io. Nel 1970, tornato alla direzione della rivista «Il Mulino», ho scritto un lungo saggio - quasi un editoriale - per indicare la linea di cultura politica che intendevo seguire. Il saggio era intitolato La cultura politica italiana tra l'insorgenza populistica e l'età delle riforme, dove si mostrava come il riformismo fosse ostacolato proprio dal populismo. Il saggio ebbe successo solo perché venne citato in un dibattito parlamentare. In realtà mi erano chiare le differenze con altre forme storiche di populismo.

In ordine di tempo c'è il populismo russo: sono intellettuali urbani che idealizzano il popolo contadino, pensano di ritrovare nella sua organizzazione sociale forme di socialismo, e quindi si mettono al servizio del popolo. Poi c'è il populismo americano tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Nasce nel Middle West come movimento dei farmers: è decisamente individualistico, nemico delle grandi città, delle concentrazioni industriali, delle classi patrizie che dominano nelle istituzioni. Decisamente yankee vuole difendere la vera tradizione americana: avversa alle immigrazioni, gli ebrei e i negri. Da ultimo c'è il populismo sudamericano e soprattutto argentino. È un fenomeno urbano che esalta il capo carismatico (pensiamo a Perón e a sua moglie) vero interprete delle masse popolari, depositarie dei valori positivi. Quindi è un regime plebiscitario che ha la sua forza nei sindacati (pensiamo ai descamisados).

Senza pensare a una definizione sincretistica del populismo, che sarebbe stata storicamente errata - come fanno ora alcuni sociologi - così definivo il populismo italiano degli anni Settanta. Veder apparire, al di sotto di un sistema partitico ormai in crisi, un nuovo clima di idee semplici e di passioni elementari, in radicale protesta contro la tradizione e, quindi, contro quella cultura politica e quella classe politica che ne è l'espressione ufficiale. Affermando una volontà autoritaria e insofferente delle procedure costituzionali di una democrazia moderna che manipola le masse con slogan genericamente rivoluzionari.

È una rivolta contro la ragione critica, e cioè contro l'esperto, lo specialista, lo studioso, che consentono il riformismo, in nome di sentimenti e di passioni elementari che conquistano soprattutto i giovani, che così si sottraggono al controllo dei rispettivi partiti.

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