Cultura e Spettacoli

Savinio e la sua musa (cattivissima) della critica musicale

Il fratello di Giorgio de Chirico scriveva argute recensioni e taglienti giudizi. Un po' surreali...

Savinio e la sua musa (cattivissima) della critica musicale

Immaginatevi la scena. L'austerissimo Max Reger, imponente compositore soprannominato già in vita «il secondo Bach», assegna a un suo giovane allievo del Conservatorio di Monaco un tema su cui improvvisare. Il maestro siede e socchiude gli occhi per meglio concentrarsi nell'ascolto. A chiunque sarebbero tremate le mani sulla tastiera. Al ragazzo, invece, no. Anzi, era pure infastidito dal suonare «davanti a un uomo che dorme».

Il sedicenne dal bel caratterino si chiamava Andrea de Chirico (1891-1952), era nato ad Atene e, col fratello Giorgio, si era trasferito a Monaco nei primi del secolo. Visse anche a Parigi dove conobbe Apollinaire che lo definì «pieno di talento». E vide bene: col nome d'arte Alberto Savinio divenne una delle voci più imprevedibili e beffarde della musica del Novecento, soprattutto nella sua prolifica attività di critico musicale. Se si cerca una strada privilegiata per l'approccio al genio saviniano, infatti, bisognerà frequentare le sue argute recensioni e i suoi taglienti scritti: praticamente irreperibile da anni, torna nelle librerie il suo capolavoro postumo Scatola sonora (Il Saggiatore, pagg. 600, euro 34).

Molti sono i compositori commentati e ammirati: Bach («Nelle grandi composizioni di Bach, c'è già il carro armato e la Panzerdivision»), Chopin («Giovane dio capitato per errore sulla terra») e Monteverdi («Mai musica, io credo, è stata altrettanto precisa, lucida, azzeccata, riuscita in tutte le sue parti»). Parole encomiastiche anche per due contemporanei: Luigi Dallapiccola («Tanto razionale è la sua musica, che l'udirla alletta la nostra ragione; guardarla nella sua fine e paziente scrittura tanto simile alle antiche pitture cinesi, precisa e affascinante come i disegni di Leonardo») e Alfredo Casella («Domandai a Casella se mi avrebbe preso anche fra i suoi allievi da perfezionare»).

In ogni pagina, Savinio non manca mai di rendere la sua analisi originale e inaspettata. Le recensioni si divorano: lucidità e spessore d'analisi (anche tecnica) fanno un tutt'uno con atipicità e anticonformismo. E veniamo, dunque, all'altra faccia di Savinio, quella più controcorrente: la sprezzante polemica. A leggere le quasi 600 pagine della Scatola sonora c'è da divertirsi parecchio. Pochi sono gli autori che riescono a evitare l'affilata (ma mai banale) ghigliottina saviniana. Haydn? «Una mente del tutto sfornita d'intelligenza, e che tutte le forme laudative con cui i critici musicali hanno circondato finora la musica di Haydn possono essere riassunte in queste due parole: musica stupida». Rossini? «L'atarassia che Rossini portava nella musica, mio zio la portava nella vita sessuale». Bellini? «Gli mancava la suprema saggezza dell'artista, gli mancava la suprema astuzia dell'artista; di sapere che l'arte è gioco, è divertimento, un seguito di sorprese; gli mancava di sapere che l'arte è l'altra parte delle cose. E scrisse interamente da questa parte». Wagner? «È un autore superato e prossimo a prendere stanza nel deposito delle inutilità». Berlioz? «Il musicista più sfornito di sonorità». Mascagni? «La musica di Mascagni non cammina, ha le ruote quadre. Si suda di fatica a sentirla». Puccini? «Nel Gianni Schicchi dà la controprova, se pure ce ne era bisogno, di quanto deboli erano le sue tragiche qualità».

Savinio strizzò anche l'occhio al futurismo nell'amore per le macchine: radio, grammofono e, soprattutto, la pianola, «strumento perfetto, sicuro, infallibile». Addirittura, per Savinio/de Chirico, la pianola è emblema metafisico: «Nel vedere quei tasti bianchi abbassarsi misteriosamente e misteriosamente risalire, noi pensiamo che la dea stessa della musica, Euterpe in persona, è scesa dal cielo delle armonie, e siede invisibile davanti al pianoforte». In Ave pianola! del 1926 Savinio dà il meglio contro il suo ennesimo bersaglio: «Una delle piaghe peggiori che affollavano la tribolata umanità, è in via di sparire. Alludo a quell'animale terribile, a quell'animale nefando, noto sotto il nome di concertista. Un giorno si parlerà di lui come oggigiorno si parla delle grandi epidemie di peste che una volta funestavano la nostra Europa ripulita e igienizzata». Spassosissima è la presa in giro degli atteggiamenti tipici del musicista: «Addio zazzere buttate indietro con mossa caparbia della testa, addio sdilinquimenti e contorcimenti davanti alla tastiera, addio sognanti cullamenti del violino, addio furiosi abbracciamenti del violoncello».

Certo, Savinio non aveva ancora fatto i conti con il sommo Arturo Benedetti Michelangeli.

Lo ascoltò nel 1942: «Quando attaccò Michelangeli, sembrò che un angelo si fosse seduto al pianoforte».

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