Cultura e Spettacoli

"La scena del burro con Schneider e Brando? Non mi sono pentito"

Nel 2013 confessò: "Non la avevamo avvertita Con i soldi di Ultimo tango feci Novecento"

"La scena del burro con Schneider e Brando? Non mi sono pentito"

Nel 2013 Bernardo Bertolucci, nonostante fosse già costretto su una sedia a rotelle, volò a Los Angeles. Cinque anni prima era apparsa la sua stella sulla Walk of Fame ma lui, a causa della sua infermità, non l'aveva ancora potuta festeggiare.

La proiezione a Hollywood della nuova versione restaurata e in 3D del suo Ultimo Imperatore fu l'occasione per visitare un'ultima volta la Città degli Angeli e inaugurare la stella. Ci fu il tempo per una lunga intervista, in cui raccontò degli inizi, della carriera, di politica e delle sorti del cinema italiano contemporaneo: «Pensavo mi sarebbe toccato fare da cicerone nelle macerie del cinema italiano, ma nell'ultimo decennio ho percepito una nuova energia che mi fa essere ottimista per il futuro disse -, basti pensare a registi come Matteo Garrone e Paolo Sorrentino». Ci vide lungo, pochi mesi dopo Sorrentino avrebbe vinto l'Oscar per il miglior film straniero, con La Grande Bellezza.

La sua passione per il cinema era iniziata da ragazzo, a diciott'anni. «Me ne innamorai quando vidi La dolce vita di Federico Fellini in una versione ancora grezza. Un gruppo di intellettuali fu invitato a una prima proiezione, fra questi c'erano Pier Paolo Pasolini e mio padre, Attilio, che era un poeta piuttosto affermato e che decise di portarmi. Vidi un film ancora in fase di montaggio, girato in differenti lingue. Marcello Mastroianni parlava in italiano, Anouk Aimée in francese, Nico in inglese e in sottofondo si poteva sentire la voce di Federico Fellini che diceva ad Anita Ekberg: Anita, Anitona, sorridi, stupida!. Quell'insieme di arte e linguaggi mi regalò una tale emozione che pensai: voglio diventare un regista di cinema. Mi affascinava la capacità di inventare un mondo. Fellini con La dolce vita creò un mondo che prima non c'era. Prima di quel film i paparazzi non esistevano. Era un mondo realistico ma che non esisteva nella realtà, lui lo portò alla luce. Fu una tale emozione che mi fece decidere cosa sarei diventato. Dopo quel giorno rividi La dolce vita molte e molte volte, ma la versione finita e doppiata aveva ormai perso quella sua brutale estetica che tanto mi aveva affascinato».

La fama internazionale per il regista arrivò nel 1972, quando uscì Ultimo tango a Parigi. «Fu un successo intermittente. Uscì, vantò un enorme pubblico ma poi venne ritirato dalle sale per via della censura, poi tornò e venne nuovamente ritirato. Nel 1976 la Cassazione confermò in via definitiva la condanna per oltraggio al pubblico pudore. Il film andò al rogo, come le streghe, ed io subii anche un danno collaterale: perdetti i diritti civili. Me ne accorsi quando non vidi arrivare la mia tessera elettorale, andai a chiedere spiegazioni e mi venne detto che avevo perso il diritto di voto, per cinque anni. Erano gli anni Settanta, periodo di grande fervore politico. Fu un duro colpo per me».

Però quella controversa storia di una relazione erotica ambigua gli aprì molte porte. «Fu grazie a quel film che riuscii a fare Novecento. Il successo economico di Ultimo tango, mi diede libertà di movimento e mi permise di fare ciò che prima non avevo i mezzi per fare».

Dopo aver girato il film, la protagonista femminile, la giovanissima Maria Schneider smise di avere qualsiasi contatto sia con lui che con Marlon Brando. «Non ci perdonò mai il fatto che non la avvertimmo della famosa scena del burro. Decisi di non dirle niente perché volevo cogliere la sua reazione di ragazza, non la recitazione dell'attrice. Da allora mi odiò e da allora mi sento in colpa». Non abbastanza da provare rimorso, però: «Mi sento in colpa ma non sono pentito. A volte, per ottenere quello che hai in mente, devi essere completamente libero e per me l'umiliazione e la rabbia espresse da Maria non dovevano essere recitate, dovevano essere davvero sentite. Credo che l'arte abbia soprattutto un obbligo di sincerità e di verità».

Fu anche l'occasione per parlare di politica e dell'ondata di populismo che si stava facendo strada in Italia. «Percepisco inerzia e distacco. Gli italiani, poco a poco, si sono disinteressati alla politica ed è desolante vedere come quel po' di energia che ancora c'è vada verso Beppe Grillo».

Nel 2013, anno delle elezioni politiche e del primo grande exploit dei Cinquestelle, Bertolucci definì fugace il successo elettorale dei grillini: «È un successo fugace ma molto significativo della disaffezione verso i partiti tradizionali e della rinnovata forza del populismo».

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