Cultura e Spettacoli

"Se non avessi fatto lo chef sarei diventato un vescovo..."

La strada per l'inferno, si dice, è lastricata di buone intenzioni. Su quella che conduce all'Inferno di Carlo Cracco, però, le buone intenzioni non bastano.

"Se non avessi fatto lo chef sarei diventato un vescovo..."

La strada per l'inferno, si dice, è lastricata di buone intenzioni. Su quella che conduce all'Inferno di Carlo Cracco, però, le buone intenzioni non bastano. Muoversi tra i fornelli retti con pugno di ferro dal celebre chef veneto è come addestrarsi a Parris Island per un marine: soltanto che laggiù, nella celebre caserma in South Carolina, passare da uomo comune a ottimo soldato richiede sei settimane, mentre agli ordini di Cracco le settimane per diventare «Executive Chef» sono solo quattro. «Per registrare l'ultima stagione di Hell's Kitchen ci abbiamo messo un mese, che è quello che basta per capire se uno ha i numeri», dice lui. Punto e basta. E ne sopravviverà solo uno, come si vedrà da stasera ogni martedì in prima serata su Sky Uno Hd.

Innanzitutto, Chef Cracco, ci spiega cos'è un Executive Chef?
«È lo chef capace di guidare una cucina, di gestire i i suoi collaboratori, di imporre la sua visione. È colui che deve avere carisma e deve intuire in poco tempo il materiale umano che ha sottomano».
Vale a dire una cosiddetta brigata di cuochi, come quelle, e sono due, che si sfidano a Hell's Kitchen?
«Esattamente. Per uno di quei 14 concorrenti, tutti già cuochi professionisti, c'è un premio importante, diventare Executive Chef in uno dei ristoranti JW Marriott all'Isola delle Rose a Venezia».
Qualcosa che un duro come lei non intende assolutamente regalare, giusto? Alla quarta stagione di Hell's Kitchen si è forse ammorbidito?
«Io non sono né duro né cattivo, sono solo severo. Per ambire a quel ruolo devi costruirti un senso di leadership. Ovvio, tutto questo porta stress: anche nella nuova edizione, so che ci tenete a saperlo, ci saranno lacrime da parte dei concorrenti. Ma anche tanta soddisfazione».
Dica la verità, Hell's Kitchen le piace più di MasterChef?
«Sono due programmi diversi. Comunque sì, Hell's mi piace di più, ma solo perché è la cosa più vicina al lavoro che faccio tutti i giorni: ci sono ragazzi che sudano sul lavoro e dei clienti da soddisfare. A MC ci sono persone che non hanno mai cucinato come professionisti e inseguono l'opportunità della vita».
Quindi non è pentito dell'addio a MasterChef? Non sentirà la mancanza dei suoi illustri colleghi?
«A me mancano solo i miei figli, la mia compagna e, a volte, il mio lavoro. Tenessi qualche animale in casa, forse mi mancherebbe quello».
A proposito di figli: lei ne ha quattro, ha già avvistato qualche erede tra loro?
«Sono ancora troppo piccoli, aspettiamo a vedere».
A che punto siamo con l'atteso esordio del suo nuovo ristorante in Galleria Vittorio Emanuele a Milano? Si dice che l'investimento sia esorbitante...
(sorride) «Sì, ma me l'ha pagato Sky, andranno avanti a cambiali per un bel po'. A parte gli scherzi, dovrebbe aprire a dicembre».
Tornando a Hell's Kitchen, quali sono le novità?
«Abbiamo costruito una puntata più compatta, da 105 minuti siamo passati a ottanta. E c'è poi una sfida finale nella quale i due peggiori concorrenti della puntata, per restare in gara, si cimentano su un piatto. In una stanza del duello dovranno mantenere il mio ritmo di preparazione dello stesso piatto. Chi perde è fuori».
I concorrenti sono per lo più giovani dai 21 ai 40 anni di età, provenienti da tutta Italia.
«Per un Executive Chef lavorare coi giovani è la normalità: io lo faccio da trent'anni. Quest'anno ci saranno anche un ragazzo brasiliano e uno marocchino. E soprattutto, lo scriva, ci sono molte donne».
Si annuncia una prova esterna presso il ristorante 2 stelle Michelin Villa Margon di Trento e alcuni ospiti interessanti; ce ne può svelare qualcuno?
«Ci sarà Fabio Capello, uno che ama la cucina, incute timore e, diciamo così, non è che sia dotato di humor inglese. E poi verranno Fortunato Cerlino, il Don Pietro Savastano di Gomorra, il musicista Manuel Agnelli e lo chef Wicky Priyan».
Se Carlo Cracco non avesse fatto lo chef, cosa sarebbe oggi?
«A un certo punto volevo fare il prete.

Penso che almeno alla carica di vescovo ci sarei arrivato».

Commenti