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Steve Harris: "Così riscopro il rock duro anni '70"

Il leader degli Iron Maiden sorprende tutti e pubblica il primo disco da solista. "Volevamo conquistare il mondo. Oggi i giovani si accontentano troppo"

Steve Harris: "Così riscopro il rock duro anni '70"

Giusto, così si fa: mai rilassarsi. A modo suo Steve Harris c'è riuscito. Essendo il (ricchissimo) bassista fondatore dei metallari Iron Maiden, con alle spalle la bellezza di quasi cento milioni di dischi venduti, a 56 anni potrebbe appendere il plettro al chiodo e godersi la vita. In fondo, con Geddy Lee dei Rush, Geezer Butler dei Black Sabbath e Phil Lynott dei Thin Lizzy è tra i maestri laureati dalla critica. Invece no. «Come faccio a godermi la vita se smetto di suonare?». Mentre gli Iron Maiden sono in vacanza dopo l'ennesimo tour mondiale, ha convocato in studio di incisione qualche amico sconosciuto al grande pubblico (Richard Taylor alla voce e Graham Leslie alla chitarra su tutti) e ora pubblica il suo primo disco da solista, British lion. Intanto, sorpresa: con il rock duro e cupo dei Maiden queste dieci canzoni non c'entrano quasi nulla. Sono aggressive, certo. E talvolta nostalgiche come The chosen ones oppure persino ossessive come Karma killer. Ma arrivano da un mondo diverso, lontanissimo solo all'apparenza: già quello del rock quando ha iniziato a gonfiare i muscoli. «Vuoi dire gli anni Settanta?», taglia corto lui.

Eggià, mister Steve Harris, British lion sembra un (personale) bignami del decennio che ha alzato il volume.

«Diagnosi perfetta. Ho impiegato tanti anni a registrare questo disco perché ho usato i ritagli di tempo lasciati liberi dagli Iron Maiden, con i quali non ho problemi di sorta. Ma alla fine ho capito una cosa: sono orgoglioso di essere “nato” musicalmente negli anni Settanta. La mia anima è ancora lì».

La nostalgia del cinquantenne?

«Assolutamente no. È riconoscenza verso le mie origini: allora eravamo creativi, tutti i giovani musicisti. Creativi e incoraggiati a esserlo».

Quindi adesso non è più così.

«Molto meno, oggi c'è più manierismo. E dire che, visto che ormai si possono incidere dischi usando anche un solo laptop, i ragazzi potrebbero essere addirittura più creativi. Una volta il rock spesso ti dava “too much, too soon”, troppo e troppo in fretta. Adesso il sistema ti chiede troppo e troppo in fretta».
Traduzione: se non funzioni al primo singolo, tanti saluti e grazie.
«Sono un bassista e so, ad esempio, quanto ci voglia a diventare bravo e ben inserito dentro una band. Quasi sempre c'è bisogno di tempo prima di arrivare al top. Tempo che oggi manca».

Sicuro che sia solo la tempistica a fare la differenza?

«Nel disco c'è un brano che si intitola Us against the world e che rende l'idea che, oltre al tempo necessario, per diventare “grandi” c'è bisogno anche di sapersi mettere in gioco con quel tanto di spirito competitivo per andare avanti nonostante le porte chiuse».
Nel 1980 gli Iron Maiden cantavano, anzi urlavano: «Non ho un posto dove andare, schaccio l'acceleratore, via!» (da Running free).
«Credo che tutte le giovani band dovrebbero aver voglia di schiacciare simbolicamente l'acceleratore della creatività».

Però scusi, Steve Harris: il suo disco è una sorta di omaggio al passato.

«Allo spirito del passato. Ma con suoni moderni».

In effetti l'attacco di This is my god ha una furia quasi «industrial».

«Furia sì, quando suono sono furioso e mi diverto!».

Qualcuno penserà che il titolo del disco sia un omaggio troppo smaccato alla sua patria. British lion. Leone inglese.

«Ecco questo non lo capirei. Ciascuno deve essere orgoglioso del luogo dove è nato.

Io almeno mi sono sempre sentito così, orgoglioso di essere inglese anche nei periodi più difficili».

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