Cultura e Spettacoli

Il "sicilianuzzo" povero che in tv e al cinema diceva "Pane al Pino"

Partì dal teatro, passò dal Bagaglino e poi in Rai Prima di Camilleri sdoganò il dialetto dell'isola

Il "sicilianuzzo" povero che in tv e al cinema diceva "Pane al Pino"

«Quello che diventa difficile quando si è vecchi, è vivere», celiava Pino Caruso, attore di cinema, teatro e televisione, morto ieri a Roma, all'età di 84 anni. Autodidatta, l'artista palermitano protagonista dell'intrattenimento di qualità tra i suoi partner, Ornella Vanoni e Milva, Renzo Arbore e Gigi Proietti, mentre Antonello Falqui curava quasi tutte le sue regie - aveva conseguito la quinta elementare alle scuole serali. «La scuola, in Italia, ha un difetto: spaventa. Leggere è sinonimo di noia. Invece, se non conosci il passato non puoi conoscere il presente», affermava con la bonomia del siciliano trapiantato nella Capitale dal 1965, per approdare al cabaret. Il suo nome è sinonimo di Bagaglino, dove autori del calibro di Castellacci e Pingitore gli cucivano addosso varietà svagati come Pane al Pino e Pino al Pino, che egli rendeva esilaranti con la verve acquisita lungo una gavetta infinita.

Prima di dedicarsi allo spettacolo, infatti, aveva fatto l'apprendista tipografo, il garzone di bottega, il salumiere, il barista, lo scaricatore e lo strillone di giornali, quando dei quotidiani si vendevano le edizioni mattutine e pomeridiane. Trapiantandosi a Roma, da «sicilianuzzo povero» che, però, nel 1957 aveva debuttato al Piccolo Teatro di Palermo con Il giuoco delle parti di Luigi Pirandello e al Teatro Massimo, ancora a Palermo, Pino inizialmente frequentò le pensioncine della stazione Termini, mangiando se trovava lavoro. «A Roma non conoscevo nessuno, per cui è stato traumatico. Non tanto per l'arrivo, quanto per la partenza dalla mia città. Poi mi sono abituato, perché Roma era la Capitale del potere, come lo era Palermo. Quindi c'erano gli stessi intrighi, la stessa corruzione. Ecco perché non ho sentito nostalgia», raccontava, ritrovando nei romani gli stessi difetti dei palermitani, come la vanteria. «A Londra, tranne il Papa, c'è tutto. A Roma, tranne tutto, c'è il Papa», scherzava con l'amica cantautrice Gabriella Ferri, insieme alla quale incise le canzoni del Bagaglino, conducendo insieme a lei, nel 1973, il varietà televisivo Dove sta Zazà di Castellacci, Pingitore e Falqui. Il successo di pubblico e critica convinse la Rai ad arruolarlo nuovamente in Mazzabubù, nel 1975.

Prima che Andrea Camilleri rendesse di moda il dialetto siciliano in tv, grazie all'iconico commissario Montalbano, Caruso è stato il primo a legittimare la lingua siciliana sul piccolo schermo. «Si sente che ha letto Pirandello e Sciascia», osservava Enzo Tortora, al quale dedicò il film satirico Lei è colpevole, si fidi, scritto e diretto nel 1983, per irridere la malagiustizia. L'umorismo era un antidoto al fanatismo e quando, nei Settanta di piombo, i ragazzi e le ragazze scappavano di casa per non vedere Canzonissima o Teatro 10, dov'era mattatore, Pino intuiva che il radicamento alle proprie origini poteva servire a decantare il clima politico arroventato. Insieme al duo comico Ciccio&Franco e a Lando Buzzanca, egli rappresentò un frangiflutti nazionale dell'intrattenimento leggero «made in Palermo». «Non mi pare esista al mondo un attore comico che non si sia rifatto al dialetto», osservava. Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando ha commentato: «Palermo perde un concittadino straordinario, che ha contribuito alla rinascita della città, proprio negli anni della rinascita, dopo le terribili stragi del 92».

Dai Settanta ai Novanta e fino ai Duemila, l'attore e scrittore si è diviso tra cinema (Malizia, La donna della domenica, Ride bene chi ride ultimo, citando alcuni dei suoi trenta film), televisione (per il TG2 curò la rubrica di satira politica L'asterisco; fu ospite fisso di Pippo Baudo a Domenica In e nella fiction Carabinieri di Canale 5, il maresciallo Capello) e teatro, girando l'Italia con due spettacoli dei quali era anche autore. «Se la gente non va a teatro non è a causa del teatro in crisi, ma della crisi della gente», scherzava.

Mica tanto.

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