Cultura e Spettacoli

«The Smell of Us» di Larry Clark

«The Smell of Us» di Larry Clark

da Venezia

Due ragazzi fanno sesso nell'indifferenza generale dei coetanei immersi in nuvole di fumo di hascisc, a loro agio tra cocci di bottiglie di birra e di superalcolici. Tanto poi quella scena potrà essere vista e rivista su Internet dato che altri due ragazzi, con gli smartphone, stanno riprendendo l'amplesso. Parte da qui il nuovo film del fotografo e regista statunitense Larry Clark che nel 1995 sconvolse il festival di Cannes con l'esplicito Kids per poi proseguire la sua ricerca sui comportamenti degli adolescenti con due film, Bully e Ken Park , presentati in concorso proprio qui a Venezia all'inizio del nuovo millennio. Il tempo passa ma il cineasta di Tulsa in Oklahoma, classe 1943, non sposta di un millimetro la sua macchina da presa dai giovani prediligendo i loro intrattenimenti sessuali. Così dopo l'apparente pausa di Marfa Girl - che parte proprio come gli altri suoi film ma si trasforma quasi in un horror un po' splatter e grazie a cui ha vinto due anni fa il festival di Roma - eccolo tornare a raccontare in The Smell of Us , in concorso nella sezione parallela e autonoma delle Giornate degli autori, un gruppo di ragazzi parigini amanti dello skateboard praticato al Dôme di fronte alle Torre Eiffel. L'unico adulto tollerato lì è «Rockstar», interpretato dal regista stesso, un clochard alcolizzato su cui i ragazzi si divertono a saltare con gli skate.

Larry Clark infila nei 92 minuti di The Smell of Us un eterogeneo catalogo di rappresentazioni sessuali. Anche se la sorpresa è che questo tipo di cinema non sorprende più - e forse sorprendere non è neanche tra gli obiettivi del regista - nonostante l'impegno, quasi da entomologo, di mostrarci la classica fellatio , il cunnilingus e tutte le posizioni del kamasutra. Poi i due ragazzi protagonisti, cliccando sui siti porno, pensano di tirare su un po' di soldi facendo i boy escort con nomi anglofoni non proprio di fantasia, «B.B.C.» ossia Big Black Cock e «Dickie». Tra i clienti troviamo anche un feticista dei piedi intento a succhiare le dita d'uno dei due ragazzi peraltro in uno stato di pulizia non impeccabile. Una sequenza in qualche modo più disturbante di un esplicito amplesso maschile che vedremo di lì a poco. Ma ci sono anche le signore attempate che chiamano i ragazzini per fare sesso tra una sniffata di cocaina e l'altra.

Lo sguardo del regista è, come sempre, privo di giudizi. Anche se nelle note di regia dà la colpa di questi comportamenti «agli adulti e al loro fottuto commercio dei consumi che ha creato tutto questo».

Nel film un ragazzo spiega perché si prostituisce: «Non ho scelta mio padre è morto, mia madre fa due lavori e ho due fratelli da mantenere». Sempre meglio che lavorare?

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