Cultura e Spettacoli

"Racconto il Rinascimento, è stato il secolo dei giganti sia di marmo sia di carne"

Il noto restauratore e scrittore ci racconta i segreti dei grandi artisti dell'Italia delle Signorie

"Racconto il Rinascimento, è stato il secolo dei giganti sia di marmo sia di carne"

Antonio Forcellino è uno dei più noti restauratori italiani (ha lavorato sul Mosè di Michelangelo e l'Arco di Traiano), un grandissimo esperto di arte rinascimentale ed è membro del Comitato per le celebrazioni dei 500 anni della morte di Leonardo da Vinci, promosso dal ministero per i Beni e le attività culturali. L'anno scorso ha dato il via, con Il cavallo di bronzo, ad una impegnativa trilogia romanzesca, Il secolo dei giganti (HarperCollins), per raccontare i cent'anni di storia più densi dell'arte italiana, dalla nascita di Leonardo alla morte di Michelangelo Buonarroti. Questa settimana arriva in libreria il secondo tomo dell'opera, Il colosso di marmo (HarperCollins, pagg. 528, euro 17). Ne abbiamo parlato con lui.

Come è nata l'idea di una trilogia sul Rinascimento?

«Io mi occupo di Rinascimento da sempre, sia come restauratore sia come saggista. Ho lavorato al progetto di una fiction con Roberto Faenza e uno sceneggiatore americano... Lì mi sono chiesto: ma che bisogno c'è di inventare duelli, amori improbabili per rendere cinematografico il nostro Rinascimento? Nel Rinascimento c'è già tutto. Poi mi sono messo a riflettere su quanto tra Quattrocento e Cinquecento fosse complicato e difficile sopravvivere per gli artisti, coinvolti in un grandissimo livello di violenza e di convulsioni politiche. Ed ecco, è nata l'idea raccontare attraverso gli artisti tutto quel secolo fondamentale, iniziato con Leonardo e finito con la parabola di Michelangelo».

Come si regola per creare l'alchimia tra realtà ed invenzione nei romanzi?

«Parto sempre dai documenti, la fiction serve solo a colmare i vuoti. Sono esistenze abbastanza complesse e avventurose da non richiedere di più. Contano le fonti in primo luogo».

Qual è il rapporto tra gli artisti e i potenti? Se ne parla molto nei suoi libri...

«Il rapporto tra arte e potere è esistito ed esisterà sempre. L'arte ha una grande forza di manipolazione e i politici hanno sempre pensato di sfruttare questa forza. Nel Rinascimento mi spingo a dire che senza le intuizioni di alcuni grandi politici, dai Medici ai Gonzaga, non sarebbe nata nemmeno la grande arte. Gli artisti dovevano tenere conto dei loro desiderata sulla creazione del consenso ma poi cercavano di ritagliare uno spazio per la loro estetica».

Ci sono stati artisti cinquecenteschi con una precisa visione politica?

«Sicuramente Michelangelo aveva delle idee precise sulle libertà borghesi e soffriva la tirannia dei Medici, anche se poi ha lavorato anche per loro. E aveva delle precise idee sulla religione, tanto da avvicinarsi molto a correnti che poi furono considerate eretiche. Raffaello aveva, invece, quello che potremmo definire un progetto culturale che vedeva in Roma un punto di riferimento che avrebbe dovuto sviluppare una cultura universalistica innervata nella saggezza degli antichi. Leonardo meno, cambiava spesso committente ed era meno interessato forse a questo tipo di cose...».

In questo libro dà largo spazio alla realizzazione del David di Michelangelo come manifesto della libertà repubblicana di Firenze.

«Sì erano tutte idee portate avanti da Machiavelli. C'era, probabilmente, Machiavelli anche dietro alla realizzazione delle due grandi battaglie, quella di Anghiari fatta da Leonardo e quella di Càscina affidata a Michelangelo. Erano due grandi manifesti alla creazione di quella milizia popolare a cui Machiavelli teneva. Il David poi era un'opera colossale e poteva, davvero, essere un simbolo potente per la Repubblica».

Nel libro fa capire molto bene perché fosse un'impresa titanica realizzarlo.

«Per l'epoca realizzare una scultura così era uno sforzo incredibile. Servivano tre piani di impalcato, non si aveva mai la visione completa dell'opera. La difficoltà tecnica aveva già fatto desistere altri artisti dall'utilizzo di quel blocco di marmo da cinque metri».

Lei è un restauratore, questo come cambia il suo modo di scrivere dell'arte?

«Come restauratore sono ossessionato dalla materia. A differenza di uno storico dell'arte il mio primo interesse va a come la materia è stata trasformata da un uomo per diventare oggetto d'arte. Quindi, racconto il dettaglio della fattura, io sono uno che le opere d'arte le tocca e le odora...».

Cos'è che noi moderni conosciamo poco della vita degli artisti del '500?

«La fatica. Impalcature fragili, polvere, scalpelli da riaffilare, da fondere ex novo... Noi siamo abituati ad una società industriale. L'artista cinquecentesco doveva saper fabbricare di tutto. Si sottoponevano a sforzi fisici che per noi sarebbero impensabili. Dietro la grandezza di quell'epoca c'erano uomini giganteschi e disposti a dare tutto».

Lei ha seguito il sogno rinascimentale lungo tutto un secolo. Perché è fallito?

«È fallito perché l'Italia non ha superato le sue divisioni interne. Una grande cultura e una grande vitalità non sono state capaci di portarci oltre le fratture. Altri Paesi che erano altrettanto frazionati hanno trovato una nuova unità, come Francia e Spagna.

E ci hanno invaso ponendo fine a quell'epoca di splendore».

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