Cultura e Spettacoli

Stone racconta i narcos vere "belve" senza cuore

La nuova pellicola, storia truculenta sul traffico di droga, mette a confronto il pensiero liberal che vuole aprire agli stupefacenti e quello conservatore

Stone racconta i narcos  vere "belve" senza cuore

A Oliver Stone la droga piace e la usa: naturale, quindi, che le dedicasse un film dei suoi. Perché il regista premio Oscar con l’indimenticabile Platoon (1986) e Nato il 4 Luglio (1990) non è di quei tartufi hollywoodiani, che in privato fanno di tutto e in pubblico si fingono conservatori per piacere alle famiglie. Stone, reduce dal Vietnam, dove guadagnò una medaglia di bronzo, il Cuore Viola e due ferite, causa della sua dedizione ad alcol e droga, è di un’altra pasta. Lui ama e odia la sua America, che tratta come una sua privata puttana della quale mette in luce vizi e magagne. Perché vuole redimerla, ovviamente.
D’accordo, lo fa anche Clint Eastwood, però Stone affonda le mani nel fango con truculenza sanguigna alla Tarantino e non vuole insegnare niente a nessuno. Documenta e basta. Così aspettiamo curiosi il suo Savages. Le belve, thriller a sfondo criminale, con i cartelli dei narcotrafficanti che dettano legge e mettono in fuga le forze dell’ordine per un pugno di coca. Lo vediamo al telegiornale e ci pare assurdo che i narcos restino incontrastati, ma dal 19 ottobre, quando Universal distribuirà Savages. Le belve, potremo farci un’idea di come funziona un certo inferno (negli Usa, il film circola dal 6 luglio). Con tipica mania per i dettagli, Stone, qui sceneggiatore con Shane Salerno, si è servito di un consulente per le questioni legate alla cannabis, cioè Patrick Fournay, e di un hacker esperto, Ralph Echemendia, che sul set ha spiegato come funziona il lavaggio del denaro sporco nel cyberspazio. Eddie Follis, infine, ex-agente della DEA, l’agenzia antidroga Usa, ha fornito la sua esperienza. «Il mio è un film, non un documentario. Però i dettagli sono importanti: quanto pesa la cocaina da spedire, come si fa ad aggirare le leggi in Internet, dove si spediscono i carichi di droga. Dopo aver visto Scarface, per esempio, un sacco di curiosità su quel mondo restano insoddisfatte», ha detto Stone. Tanto realismo ha procurato una «R» a Le belve: minori accompagnati, dunque, perché abbondano le scene di nudo, stupri e violenza, inadatte ai più giovani. Certo, nella vita vera c’è già tutto. Infatti Don Winslow, autore del libro Le belve (Einaudi) dal quale il film è tratto, ha ripreso la vicenda di Angie Sanclemente Valencia, l’avvenente colombiana, ex-modella di intimo, arrestata in Argentina due anni fa: era uno spietato boss della droga. Nel film sarà Salma Hayek a interpretare Elena, capobastone dei narcos e belva dalle curve mozzafiato, che guida il cartello della Baia Messicana.
Neppure il suo uomo, il massiccio Benicio del Toro, incute timore alla padrona della Mexican Baja. Anzi, ne viene terrorizzato, particolarmente in una scena in cui lei lo minaccia in anglo-spagnolo. «Svillaneggiare un macho come Benicio era il sogno della mia vita!», ha rivelato Salma, che ha sposato uno degli uomini più facoltosi del mondo, l’industriale francese François-Henri Pinault. Alla sua prima prova da dura, la Hayek si guadagna i galloni di star completa. La storia, sviluppata tra la California, che ha liberalizzato la marijuana - «La California sta alla Marjiuana come la Francia al vino rosso», dice Stone - e il Messico selvaggio, dove girano droghe e pallottole, parte dal rapimento d’una giovane hippie, Ophelia detta O (Blake Lively). Che innocentina non è: una canna dopo l’altra, si divide tra Ben (Aaron Johnson) e Chon (Taylor Kitsch): è il California dreaming. I tre abitano in una villa a Laguna Beach, coltivando e vendendo la marijuana più buona degli States. Potevano starsene con le mani in mano i narcos messicani, che vogliono imporsi come soci? Per convincerli, il narcos Miguel (Del Toro) rapisce O e le belve del titolo si scatenano. Ma il trio della cannabis non va sottovalutato. Anche perché è pronto ad aiutarli Dennis, ex-agente della Dea parecchio marcio, che ha la faccia di John Travolta, perfetto per il ruolo, date le sue morbose vicende gay.


Girato tra Malibù e Pacific Palisades, località californiana dove Thomas Mann trascorse i suoi ultimi giorni di esilio dalla Germania nazista, e varie località messicane, Le belve farà discutere perché contrappone il pensiero liberal, che vuole liberalizzare l’uso della cannabis (a Los Angeles, basta avere una ricetta medica e la si prende in farmacia) e quello pseudo-repressivo dei conservatori Usa, che con una mano combattono i narcos e con l’altra si bendano gli occhi.

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