Cultura e Spettacoli

"Studio 54", serate tra inferno e paradiso per sentirsi una star in mezzo alle star

Nelle sale americane il documentario sulla storia del mitico locale

"Studio 54", serate tra inferno e paradiso per sentirsi una star in mezzo alle star

Era il posto giusto, nel momento giusto. Alla fine degli anni '70, mentre tramontava la guerra in Vietnam, gli americani erano stanchi di essere seri: volevano diventare frivoli e selvaggi. Lo Studio 54, un posto dove la discoteca sposava la depravazione, provvedeva a soddisfare il bisogno di follia e di glamour circolante nell'aria. Con Liza Minnelli, Andy Warhol, Bianca Jagger, Truman Capote impegnati a divertirsi nell'inferno-disco, insieme ai banchieri di Wall Street e al travestito Potassa de la Fayette, all'epoca modella preferita di Salvador Dalì. Alla porta d'ingresso, la selezione di chi poteva entrare era affidata a Mark Benecke: tutti volevano penetrare in quel paradiso e ballare, dimenarsi, flirtare senza freni. Mandando giù miscele micidiali di alcol e droga. Era stato uno dei due fondatori, Steve Rubell, a dettare la linea, secondo una sua ricetta segreta che chiamava «insalata tossica»: omosessuali, lesbiche, transessuali, famose star del cinema, ragazzini del Bronx andavano mescolati per una notte magica al night che per 1000 notti, dal 1977 al 1980, rese la vita notturna di New York più eccitante.

A raccontare quell'atmosfera c'è Studio 54, film documentario di Matt Tyrnauer, in programmazione nelle sale Usa. Nel docufilm vengono assemblati fotografie e filmini amatoriali d'epoca, in un caleidoscopio che mostra il club da ogni angolo, portando lo spettatore dentro il night e sul palco. Nella cultura americana dei tardi Settanta,del resto, era diventato un mito venire ammessi allo Studio 54, Walhalla pulsante dove si fondevano suoni e luci, ecstasy e sogni erotici. Perciò Tyrnauer ricrea una certa aura bombastica, però demistificando il luogo e facendo vedere come si operava, là dentro, e quanto veniva organizzato per finire sui giornali.

Fondato da Steve Rubell (morto di Aids nel 1989) e da Ian Schrager, due giovani di Brooklyn, il Club 54 viene anche proposto come il classico «american dream»: due ragazzi ebrei danno la scalata al palazzo dei sogni, partendo come studenti qualunque di Syracuse e sfruttando il loro senso pratico. All'inizio, subito dopo la laurea, Rubell apre una catena di ristoranti e Schrager diventa avvocato. Però, entrambi sono divorati dalla febbre del guadagno e a Rubell, gay non dichiarato, non sembrò vero di cavalcare l'onda dei nightclub, all'epoca parte della subcultura gay. Prima, i due affaristi aprirono un club nel Queens, poi puntarono su Manhattan, ristrutturando un teatro abbandonato, la Gallo Opera House, nella 54esima Strada (nel frattempo, ci si sono installati gli studi della CBS). Fu proprio la grandiosità degli spazi un palco enorme, la balconata, una serie di ampi loggioni a ispirare la loro visione di un nightclub epico.

Il Club 54 doveva essere qualcosa di mai esistito prima: nasceva una nuova cultura della celebrità e un nuovo ideale: chiunque poteva essere star.

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