Cultura e Spettacoli

Il successo della formula nostalgia

di Tony DamascelliTutti Indiana Jones, all'inseguimento del format verde, esploratori dell'inedito. Rai, Mediaset, Sky studiano nuovi programmi, formule che possano acchiappare la «ggente», che facciano schizzare gli ascolti sempre più mosci.Poi arriva Sanremo ed esplode, così si scopre che la formula esiste già, anzi esisteva ma qualcuno, anzi molti, l'avevano dimenticata in qualche cassetto, riposta in soffitta, trascurata perché ritenuta «vecchia» «nazionalpopolare».Il festival è un varietà, è lo Studio Uno di tempi bellissimi, in bianco e nero, quando aspettavamo il sabato sera per staccare dal resto, per combattere il logorio della vita moderna senza, per forza, ricorrere al Cynar. Era un presentatore o una conduttrice, di stile e professionalità, era Mina, cioè tutto, Luttazzi, quello vero, Lelio, compositore, attore, elegante padrone di casa, erano Luciano Salce o Simonetta, erano Walter Chiari o Totò, Panelli o Fabrizi, Gassman e Sordi, il cinema e il teatro traslocavano in tivvù, erano balletti e canzoni, gag comiche, pubblico plaudente, con la censura pronta a intervenire per coprire battute e cosce al vento.Tutto scomparso, bruciato dai nuovi formati detti format, da spettacoli reali che vengono detti reality show (fa più fine) ma di realistico non hanno nulla, da dibattiti, anche questi battezzati come talk show, dunque spettacoli di parole, giornalisti che intervistano giornalisti (roba da matti) là dove Tribuna Politica (o Elettorale) metteva di fronte il segretario di partito ad emiciclo di giornalisti non famosi ma affamati di molestare il politico.Sanremo fa punto e a capo, per cinque sere riporta il pubblico a quei tempi andati, l'ovazione per i Pooh ribadisce che l'operazione nostalgia rende, sempre, giovani, maturi, anziani, tutti riuniti per una canzone, un ricordo fresco o antico, un'emozione, perché, come ha detto il tenerissimo e grandioso Bosso: «La musica si fa insieme». I Pooh, per un ventennio, sono stati considerati, dai critici impegnati, il collasso diabetico, il prototipo della canzonetta. Tremila concerti dopo, basta Pensiero e parte la ola in sala stampa. Sanremo mette insieme milioni di italiani, anche se questo infastidisce i cosiddetti intellettuali (mai ho capito a quale tribù appartengano). Al salotto letterario si è aggiunta, in leggero ritardo, anche l'Aspesi Natalia che nel suo commento su Repubblica si è lamentata per l'assenza di canzoni vere e la presenza di comici e paillettes e, poi, di oscuri messaggi pubblicitari sul polso della Kidman (tipo il morbido testo sulle virtù di Milano 2, dalla stessa Aspesi scritto esattamente quarant'anni fa nel libro ufficiale dell'investimento edilizio di Berlusconi. Celebriamo?).Ma Boncompagni e Arbore che, cercando di ingannare Mike Bongiorno sul palco, costringono la Puccini a fingere lo svenimento? O Celentano che si presentò volgendo le spalle al pubblico, che roba erano? Bobby Solo bistrato di rimmel e cantante in playback? O Gilda che vince a Sanremo dopo aver fatto un tour tra molte caserme che sarebbero state poi i punti di ascolto e di raccolta voti? E le prime vallette nel '57? E l'eurovisione, sempre in quell'edizione?Cinque sere di Sanremo valgono una puntata di Studio Uno ma spalmato come nel calendario del calcio, nelle edizioni del tiggi, nei canali televisivi, negli orari delle messe. Sanremo vive insieme con noi, tornerà anche l'anno prossimo e poi ancora, fedele nei secoli.

Se ne facciano una ragione, tutti, cari amici vicini e lontani.

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