Prima della Scala

Il "tenorissimo" convince tutti: applausi all’"Andrea Chénier"

Fugati i dubbi sulle capacità del marito della sempre brava Netrebko. Undici minuti di battimani. Menzione d’onore per i comprimari

Il "tenorissimo" convince tutti: applausi all’"Andrea Chénier"

Dire che Andrea Chénier è l`opera del tenore potrebbe sembrare scontato. È il protagonista del capolavoro di Umberto Giordano, sulle cui spalle grava gran parte del risultato della serata. Nelle settimane precedenti l`inaugurazione della Scala sopra la testa del tenore scelto per interpretare la celebre «parte» del poeta ghigliottinato, Yusif Eyvazov, la pressione si è fatta molto pesante: per lui si trattava non solo del debutto alla Scala, ma del debutto nella serata più difficile - temuta anche da tenori all`apice della carriera. Quello che aspettava Eyvazov era un compito che abbiamo definito quasi «disumano». Il fatto poi di essere il partner di Anna Netrebko anche nella vita, non ha fatto che aumentare il clima di minacciosa attesa. Chénier apre la serata con il famoso Improvviso. Se sbaglia, tutto è compromesso. Ma Eyvazov non ha sbagliato: si è presentato senza inibizioni e con gran coraggio. Certo chi ama le voci «belle» potrà rimanere deluso da certi attacchi o da qualche emissione un po` selvatica. Ma la sicurezza nel registro acuto e l`organizzazione dei suoni nel «passaggio» - e quella «maschera» nasale - ci hanno ricordato un famoso Chénier del passato, spesso accusato di non avere una bella voce, Aureliano Pertile. Lo chiamavano ironicamente Cangrande della Scala per la sua capacità di trasformarsi e cantare un repertorio molto ampio, ma nessuno, nemmeno i detrattori, potevano negare che ogni sera fosse il personaggio richiesto. Ecco, Eyvazov è stato nel personaggio con aderenza, gagliardia, concentrazione. Non è una sorpresa la «voce» di Anna Netrebko. Quando può ammorbidire o filare i suoni (come all`avvio del duetto con Chénier del secondo atto) riempie la sala di note di caldo velluto. Nella sua scena madre (La mamma morta) si trovava nel suo elemento ideale, seguendo il melos spaziato e voluttuoso di Giordano. Anche lei, come Eyvazov, non ha alcun problema ad affrontare il temibile finale, dove oltre al boia Sanson ci sono acuti siderali che mozzerebbero la prima esitazione. Il terzo incomodo nel triangolo dell`opera, l`ex-servitore e rivoluzionario deluso Carlo Gérard, era affidato alla generosa vocalità del baritono Luca Salsi, potente nel superare il turgore orchestrale, a tratti squarquoio, ma indubbiamente efficace, soprattutto nel tenere i fiati nella gran scena della denunzia (Nemico della patria).

Nel folto gruppo dei comprimari menzioni d`onore per l`appuntito Incredibile (la spia di Robespierre) di Carlo Bosi, l`efficace Roucher (parte anfibia, scomoda e ingrata) di Gabriele Sagona, la Contessa di Mariana Pentcheva e l`agile mulatta Bersi disegnata da Annalisa Stroppa. La parte corale sembra di poco conto: le pastorelle nella festa, gli svenevoli commenti dei convitati, il popolaccio che saluta i deputati alla Convenzione nazionale, le perfide donnette che fanno la calzetta e invocano la ghigliottina per gli aristocratici. Si direbbero interventi accessori e invece sono importanti, e quel che conta, sono stati tutti pronunciati con preparazione e intonazione degne della serata inaugurale - merito dell`inossidabile maestro Bruno Casoni.
La messa in scena di Mario Martone (scene di Margherita Palli e costumi di Ursula Patzak) non ha deluso chi lo ha ammirato nei Rossini semiseri e in Mozart (e al cinema). Avendo deciso di unire primo e secondo atto e terzo e quarto, l`impianto scenico ha garantito i cambi con rapidità apprezzabile negli «esterni», scarso il fascino degli interni, che erano un po` onusti di elementi eterogenei - pur volendo riflettere l`eccitato e confuso clima rivoluzionario. Suggestiva la pittorica massa del popolo sul fondale nero del tribunale e il carcere sovrastato da Madama Ghigliottina.

I caldi consensi che il pubblico ha dispensato alla fine dello spettacolo (undici minuti di applausi), approvavano in blocco la prestazione dei solisti, della regia, del coro e dell`orchestra guidata da Riccardo Chailly. A Chailly va riconosciuto il non piccolo merito di aver programmato un`opera che per decenni a Milano, a partire dagli anni in cui è nato e ha studiato, è stata oggetto di una congiura del silenzio, e di considerarla quell`affresco colmo di vitalità che è - e diciamolo ancora, quel capolavoro che è. Ha avuto anche ragione nel non fermarsi prudentemente nei luoghi deputati a conclusione delle scene celebri, per evitare imboscate che si sarebbero potute trasformare in intimidazioni. Questo ha giovato ai cantanti che si sono poi presentati tutti insieme alla ribalta conclusiva in un clima disteso e festoso - qualche irriducibile ha tentato di buare le ultime uscite, soprattutto del regista Martone, facendo l`effetto di stonati rumori di pancia.

Un mio illustre vicino li chiama borborigmi.

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