Cultura e Spettacoli

Da Tony Soprano a Escobar: quanto ci piacciono i cattivi

Nelle serie vincono i «buoni» ma subiamo il fascino di drogati e assassini. È il paradosso della nuova tv

Da Tony Soprano a Escobar: quanto ci piacciono i cattivi

I buoni? Sono sempre stati noiosi. Già tra i Karamazov di Dostoevskij io sarei andato cena con Ivan, Aliosha mi avrebbe fatto sbadigliare già all'antipasto. Sarà per questo che la nostra narrativa contemporanea è piena di moralismi e personaggi soporiferi (il pacifista, il terzomondista, l'ex-comunista, la femminista, i montanari naturisti) e viene sorpassata dalle serie tv americane. Anche quando le rincorre, come nel caso di Gomorra, dove non c'è un vero cattivo figo con cui identificarsi, e dietro c'è un autore che più buonista non si può. Per non parlare di serie tv italiane di successo con preti e nonni e famiglie felici.

Invece una bella analisi del fascino dei cattivi televisivi arriva ora in libreria con il saggio Difficult man di Brett Martin, edito da minimum fax. Dove tra l'altro Aldo Grasso firma una succosa prefazione, ricordando en passant come lui stesso fu profetico nel 2007, quando scrisse il libro Buona maestra Perché i telefilm sono diventati più importanti del cinema e dei libri. Contraddicendo anche il mantra popperiano della tv come cattiva maestra. O meglio, sarà anche cattiva, ma per questo è ottima. Per gli intellettuali con la puzza sotto il naso Grasso stava esagerando, ma gli intellettuali non hanno mai capito un cavolo, e Grasso aveva ragione. Anche perché gli ultimi dieci anni hanno popolato il nostro immaginario di grandi personaggi, la maggior parte dei quali non sono propriamente un esempio morale, anzi sono degli antieroi, uomini inquieti, disturbati, di cui subiamo il fascino e ci immedesimiamo volentieri.

A cominciare da Tony Soprano della serie I Soprano, boss mafioso in perenne terapia psichiatrica, vero apripista, protagonista di una serie iniziata vent'anni fa, nel 1999. Da allora ne abbiamo visti tanti, e questi antieroi sono diventati i nostri eroi. In The Wire ci siamo affezionati a poliziotti narcisisti, narcotrafficanti e alcolizzati. In Mad men e Big Love adulterio e poligamia sono ordinaria amministrazione. Doctor House è un medico eccellente, ma è anche il massimo del cinismo, drogato di oppiacei e ha relazioni serie solo con prostitute, sublime.

Ma tra tutti un gigante è Walter White, della serie ormai di culto Breaking Bad, che, dopo aver scoperto di avere un tumore incurabile, si mette a produrre metanfetamine, e realizza la sua esistenza. E anche la nostra, con conseguenti desideri di imitazione, per esempio non so quante volte ho detto al mio amico scrittore Piersandro Pallavicini, che è al contempo un insigne professore di chimica: «Ehi, perché non ci mettiamo a fare la Blue Sky?». Scherzavo, ma mica tanto.

E nel frattempo abbiamo sdoganato anche i serial killer, un'altra piccola rivoluzione dell'immaginario. Un precursore in letteratura fu certamente Bret Easton Ellis, con il suo American Psycho, con la differenza che il suo Patrick Bateman era antipatico, mentre il Morgan di Dexter lo sentiamo come un nostro amico perfino quando lega una vittima a un tavolo e la fa a pezzi. Brett Martin nel suo libro ci fa notare che Dexter ha una sua etica: uccide solo i cattivi, insomma si fa giustizia da solo. Però si dimentica di ricordare che questo codice etico è solo un insegnamento del padre per evitargli di uccidere chiunque, il vero istinto di Dexter.

Siamo diventati nel frattempo tutti esperti di cartelli di droga, ma la seconda stagione di Narcos non ha avuto lo stesso successo e lo stesso fascino: per forza, alla fine della prima stagione muore Pablo Escobar, narcotrafficante criminale che ha ucciso centinaia di persone, tra poliziotti e civili. E questa volta non un personaggio inventato ma reale, e noi tifavamo per lui, nessuno per i due poliziotti della DEA che gli davano la caccia, troppo buoni. E intanto abbiamo adorato il Professore e la sua banda ne La casa di carta che organizzano un colpo alla zecca di Stato con la colonna sonora di Bella ciao.

Ditemi poi chi di voi non ha amato Frank Underwood, Presidente degli Stati Uniti in House of Cards, spietato arrivista, immorale, bisessuale e omicida, interpretato dal grande Kevin Spacey. Fatto fuori da Netflix in seguito all'ondata femminista sessuofobica del #metoo, e allora vedetevela voi, l'ultima di House of Cards.

Insomma, prima ci fate amare Underwood, poi ci togliete Kevin Spacey perché ha palpeggiato qualche sedere, che razza di ipocriti.

Commenti