Cultura e Spettacoli

Il trionfo del piccolo schermo nasce da una telerivoluzione. Quella dei telefilm

Un saggio di Alan Sepinwall, con la prefazione di Carlo Freccero, vi fa capire come mai adesso i film siano meno interessanti delle serie televisive

The Walking Dead
The Walking Dead

Alla fine è arrivato qualcuno, il critico televisivo statunitense Alan Sepinwall, che l'ha scritto chiaro e tondo: è stata una telerivoluzione. Anzi una rivoluzione che ha cambiato il ruolo della televisione e l'ha resa più appealing del cinema. Una volta esistevano delle serie tv, che per quanto ben fatte (vi ricordate capolavori come «I Jefferson» o «Happy Days»?) erano pensate per essere semplici semplici. Roba da guardare stirando o sudando sulla cyclette. Le situazioni erano spesso stereotipate e ripetitive. Perdevi una puntata? Pazienza.

Poi è successo qualcosa e i grandi cineasti hanno dovuto mettersi l'anima in pace. Si possono mettere molti più contenuti in una serie tv di tre stagioni che in un film di due ore. La prova? Basta elencare qualche titolo: «Dexter» (e la sua riflessione sul bene e il male), «Battlestar Galattica» (tutto quello che c'è da dire su una guerra di religione), «The Walking Dead» (la prima volta che gli zombie mettono in scena un dramma shakespeariano), «I Sopranos» (tutto quello che c'è da sapere sulla banalità del male se non volete leggere Hannah Arendt)... E la serie di serie potrebbe continuare a lungo. Mentre il cinema spesso è costretto ad accontentarsi di blockbuster. Come sia potuto avvenire tutto questo è ben sintetizzato in «Telerivoluzione» (Rizzoli, pagg. 478, euro 14,50).

Il libro spiega efficacemente l'arcano di un passaggio epocale: «I nuovi telefilm seguono sino a dieci trame contemporaneamente e presentano innumerevoli personaggi». Possono farlo, come spiega Carlo Freccero nell'introduzione, perché il digitale ha portato alla proliferazione delle reti. Un telefilm è complicato e non piace a tutti? Beh quel che conta è che piaccia a lungo e attiri il pubblico che piace hai pubblicitari: «Un pubblico d'elite... di consumatori attivi, piuttosto che una platea passiva». Ma se Freccero ci mette la sociologia, Sepinwall ci mette la storia. Racconta passo passo l'inversione di ruoli tra grande e piccolo schermo. Ci sono le prime serie «corali» che hanno iniziato la rivoluzione come la poliziottesca Hill Street giorno e notte e quelle che hanno capito che il rapporto tra teenagers stravolti dagli ormoni e vampiri era il cuore di ogni favola moderna come «Buffy l'ammazza vampiri» (senza la quale «Twilight» non ci sarebbe). Poi quelle che hanno segnato la svolta. Come I Soprano: con Tony Soprano per la prima volta il protagonista di una serie è "inaccettabile". E contemporaneamente un padre di famiglia, un uomo fragile sopraffatto dall'ansia e uno spietato assassino. Oppure «Mad Men» che, con i suoi pubblicitari anni '60, si rivela una vera macchina del tempo e intercetta il gusto vintage degli anni dieci del XXI secolo. Un trionfo duraturo? Anche Sepinwall ha dei dubbi. Dopo il grande balzo la produzione americana un po' langue... Però, e queste nel libro mancano, stanno arrivando anche grandi serie nate fuori dai confini degli Usa (basti pensare a «In Treatment»).

Un po' come quando dall'esempio di Hollywood sono nate le altre cinematografie.

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