Cultura e Spettacoli

Umorismo e chitarre Così i Ramones hanno rotto gli schemi

Il saggio di Rombes racconta come un solo disco ha cambiato la storia della musica

Umorismo e chitarre Così i Ramones  hanno rotto gli schemi

di Nicholas Rombes

Ramones è l'ultimo grande disco moderno, oppure il primo grande disco postmoderno. Ben consapevole della propria condizione di cultura pop, ha ciononostante delle aspirazioni per nulla ironiche a essere un'opera d'arte. Gli stessi Ramones (che hanno mantenuto immutata la loro immagine per quasi trent'anni in una cultura che dà importanza al cambiamento sopra ogni altra cosa) erano troppo seri e duraturi per essere liquidati come degli stupidi, ma troppo divertenti per essere accettati come «seri».

Mentre altri gruppi si autodistruggevano, sedotti dalla propria follia o dai simboli del successo, i Ramones sono rimasti fedeli al proprio ruolo di trovatori del punk e, per gran parte della loro carriera come gruppo, hanno prodotto un suono immutato, nonostante la rapida evoluzione delle mode. Erano profondamente consapevoli del lato oscuro della longevità: i Beatles, i Rolling Stones e gli Who fornivano tutti degli ottimi modelli di quale fosse la strada da non prendere, man mano che la potenza sconsiderata delle loro prime opere lasciava il passo all'autoindulgenza e agli eccessi che si perpetuavano da soli, segnalati da lunghe canzoni teatrali e concettuali e album il cui virtuosismo, sostanzialmente, pretendeva di essere venerato.

Ciò che assicurava che il primo album dei Ramones sarebbe diventato uno dei dischi più importanti del rock moderno era quella stessa qualità che garantiva che non avrebbero raggiunto il successo mainstream tra i loro contemporanei: una visione unitaria, la forza di un'unica idea. Ramones ha una purezza così travolgente da essere spaventosa. In pratica, i Ramones sono l'unico gruppo punk degli anni Settanta ad aver mantenuto tanto a lungo la propria visione, senza compromessi: una visione che era già espressa a pieno e completamente nel loro primissimo album. In America c'è forte scetticismo e diffidenza nei confronti di qualsiasi forma artistica e culturale che non si evolve, che non cresce. Non esiste critica più grave dell'accusa di ripetere se stessi. Eppure lo scopo del punk era proprio la ripetizione: la sua arte stava nel rifiuto dell'elaborazione. E questo non è mai così evidente quanto nel primo album dei Ramones, la cui simmetria tremenda e inflessibile annunciava l'arrivo di un suono talmente puro da non avere bisogno di cambiamento.

Il fatto che Ramones sia uscito nel 1976, l'anno in cui si celebrava il bicentenario dell'America e si ricordava la Dichiarazione di Indipendenza, è una di quelle interessanti coincidenze della storia. Mentre il punk soprattutto nelle sue incarnazioni degli anni Ottanta e Novanta è spesso associato con il dissenso anarchico e l'alienazione dal mainstream, nel movimento punk originale c'è anche una dimensione molto casalinga e nostalgica, soprattutto nella sua versione americana. Dopotutto, la filosofia del fai-da-te fa parte della tradizione americana, dall'epoca della Guerra d'Indipendenza all'appello alla fiducia in se stessi di Ralph Waldo Emerson. Certo, per farsi piacere la musica uno non aveva bisogno di sapere queste cose, e nemmeno di interessarsene; in un certo senso va contro lo spirito del punk analizzare troppo le sue fonti e le sue tradizioni. Ma una parte del fascino del punk incarnato dai Ramones nasceva da come riusciva ad attingere a questa tradizione americana di indipendenza e resistenza che aizza il piccolo individuo contro le forze dei grandi, e al tempo stesso a rifiutare la tradizione.

I particolari sulla produzione dell'album sono ormai leggenda: fu registrato in diciassette giorni nel febbraio del 1976, con una spesa di circa 6400 dollari. Sulle prime la procedura sembra il perfetto esempio di quell'etica fai-da-te, amatoriale e incosciente, che si associa al punk. In verità, però, i Ramones si accostarono alla registrazione in studio con un alto grado di preparazione e professionalità. Suonavano insieme già da circa due anni (nei quali vanno annoverati almeno settanta concerti dal vivo) e avevano già sviluppato pienamente il loro suono caratteristico. Avevano prodotto il proprio demo, scritto materiale a sufficienza per vari dischi, e riflettuto molto sulle sonorità che volevano ottenere nel loro primo album.

Prima di considerare i particolari sulla produzione dell'album, le sue canzoni, l'accoglienza riportata e l'influsso esercitato, è importante riesaminare il contesto dal quale sono nati i Ramones e il punk. Perché oggi il termine «punk» ha un significato molto diverso da quello che aveva a metà degli anni Settanta. Se oggi il termine è diventato una merce riconoscibile e bene accetta, trent'anni fa la parola «punk» era incredibilmente mutevole: le venivano collegati significati e segni di ogni tipo espressi su riviste, giornali, fanzine e cortometraggi che documentavano quello che allora stava diventando famoso come «punk rock».

Il punk era un atteggiamento che incarnava il rifiuto. Mentre il progressive, figliastro avvizzito degli anni Sessanta, era ancora radicato nell'affermazione e nell'assenso, il punk offriva la negazione e un sonoro «no». In Punking Out (1977), forse il miglior documentario sul giro del cbgb negli anni Settanta (e tra i pochi a usare il suono dal vivo invece del doppiaggio), chiedevano a una fan: «Che cos'è una generazione vuota?» E lei rispondeva: «Io sono vuota. Non c'è niente che entra. Non c'è niente che esce». I Ramones hanno intriso quel nulla e quel rifiuto di un umorismo spietato che trasportava il nichilismo nella sfera della cultura pop.

(C) Nicholas Rombes, 2005. This transalation is published by arrangement with Bloomsbury Publishing. - (C) minimum fax, 2017. Traduzione di Anna Mioni.

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