Cultura e Spettacoli

Un'avventura tra Storia e fede: la vita di Papa Francesco in tv

Nella miniserie di Canale 5, il giovane Bergoglio si tiene lontano dalle prediche e si sporca la tonaca con la realtà

Un'avventura tra Storia e fede: la vita di Papa Francesco in tv

Ci sono Papi, spirituali, che stanno dentro la Chiesa, e accolgono il loro popolo. E ci sono Papi, umani, che escono dalle mura delle chiese, per stare in mezzo alla gente.

Ecco, Francesco. Il Papa della gente, la serie tv, nata dal film Chiamatemi Francesco passato nelle sale lo scorso anno, appartiene al secondo filone. L'ha girata Daniele Luchetti, racconta la vita di Jorge Mario Bergoglio, dalla giovinezza a Buenos Aires fino all'elezione a Papa, nel tardo pomeriggio del 13 marzo 2013 - «Fratelli e sorelle buonasera, voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Roma e sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo alla fine del mondo...», The end - e andrà in onda, in due puntate da 100 minuti, su Canale 5: il 7 e l'8 dicembre prossimi. Due serate-evento per una miniserie, che in realtà è un vero film in due parti, prodotta e totalmente finanziata da Mediaset con 15 milioni di dollari. E presentata ieri in anteprima a Milano, vertici del gruppo schierati, da Pier Silvio Berlusconi in giù.

Cast internazionale (la veste talare di Jorge Mario Bergoglio è indossata, da giovane, dall'attore Rodrigo de la Serna, visto nel film-culto I diari della motocicletta di Walter Salles, e, da cardinale, dal cileno Sergio Hernández), due anni di lavoro, oltre 3mila comparse, girata in gran parte in Argentina, già venduta a 40 Paesi e acquistata da Netflix per l'utilizzo streaming in tutto il mondo, Francesco. Il Papa della gente poteva diventare, con un pubblico abituato alle fiction pretesche della Rai e al mondo idilliaco di Don Matteo, un santino vintage del giovane Bergoglio. Parrocchie, rosari, poveri di mezzi e ricchi di spirito... Invece Daniele Luchetti, terzo regista laico dopo il Nanni Moretti di Habemus Papam e il Paolo Sorrentino di The Young Pope, ad affrontare la storia di un pontefice («Prima di iniziare a girare non credevo, ora credo un po' di più alla gente che crede»), racconta la storia, difficile, non di un pontefice di fantasia, né di un Papa in crisi, ma di un uomo vero che trova la fede, di un giovane gesuita che ha attraversato i drammi politici e sociali dell'Argentina sotto la dittatura, di un personaggio chiave, per la storia dell'America latina, quando ancora non sapeva che lo sarebbe diventato.

Sì. La colonna sonora è ruffiana, ma non così tanto come quella di The Young Pope. Sì, ci sono le camminate in slow motion lungo i corridoi degli istituti religiosi («Ma le due serie sono imparagonabili, rispetto alla irrealtà di Sorrentino il nostro è un action movie», scherza, ma non tanto, il produttore Pietro Valsecchi, della Taodue). Sì, c'è piazza San Pietro in notturna, vista dalle terrazze del Vaticano, dove si apre, sul filo del flashback, il film. Ma, almeno per la prima puntata, c'è ben poco di religioso, e molto di politico e di sociale (del resto dietro la macchina da presa c'è Luchetti, per la prima volta alle prese con un prodotto tv). Per dire. Ci sono solo due accenni di Messe. La prima è interrotta dai militari del generale golpista Jorge Rafael Videla, che arrestano due sacerdoti dei campesinos. E la seconda è celebrata dallo stesso Bergoglio, Superiore provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina, nella cappella privata del dittatore. Per chiedergli la liberazione dei suoi due preti. Niente prediche, ma gesti concreti.

Niente canguri, ma maiali trascinati come scherno dentro i seminari. Niente suore che giocano a calcio, ma le madri dei desaparecidos che chiedono giustizia. Niente giochi di potere dentro i Sacri Palazzi, ma la fede della Chiesa che combatte - ai confini della Teologia della Liberazione - il Potere criminale del Proceso de Reorganización Nacional...

Il Francesco di Daniele Luchetti, che nella serie tv non è ancora Papa, ma soltanto seminarista, prete, superiore dei Gesuiti, poi religioso in «esilio»-studio in Germania, quindi arcivescovo di Buenos Aires e cardinale, si tiene alla larga dalla dottrina. E si sporca piuttosto tonaca e mani con l'amore sensuale (l'innamoramento non consumato della compagna di studi). Con l'impegno politico che cerca una terza via «peronista» tra marxismo sovietico e capitalismo liberista. Con la miseria materiale, prima che spiritale, delle bidonville. Con i demoni che partorisce l'inferno della dittatura di Videla. Non è un film religioso, per credenti. Ma un film drammatico, che racconta un uomo che crede. E non solo nel Vangelo. Ma anche nell'uomo, e nella letteratura. La scena più bella, forse, è quella in cui Bergoglio, giovane professore di Lettere, rade il viso di un Jorge Luis Borges, già quasi cieco, ospitato per una lezione nel suo collegio. E i due non parlano della fede. Ma della Divina Commedia di Dante. E non è la stessa cosa.

Bergoglio, nel clergyman di Rodrigo de la Serna, non è un Papa giovane. Ma un giovane che diventerà Papa.

E anche qui, è tutta un'altra cosa.

Commenti