Cultura e Spettacoli

"Valutare gli autori in base al loro prezzo è il criterio migliore"

È un giocoliere del marmo. Ma alla poesia preferisce il pragmatismo del mercato

"Valutare gli autori in base al loro prezzo è il criterio migliore"

Fabio Viale è il giocoliere del marmo, materiale che per peso e durezza a tutto fa pensare meno che al gioco. Ci voleva questo scultore dalle scarpe grosse (con la punta di ferro, a protezione dei piedi in laboratorio) e dallo scalpello fino per trascinare le Veneri ellenistiche nel contemporaneo e il marmo di Michelangelo fuori dai musei.

Beffardo senza fatuità, ha preso torsi classici e li ha tatuati alla maniera dei criminali russi. Ha preso blocchi di Carrara e ne ha ricavato delle barche, sì, dei piccoli natanti denominati «Ahgalla» che una volta messi in acqua (molto calma, ovvio) a galla sono rimasti perché Viale non è un pazzo, è un piemontese concreto, prima del varo si era consultato con un ingegnere nautico. Ha preso le dee marmoree di Antonio Canova e, illusionista provetto, le ha fatte sembrare di polistirolo. Ha preso uno pneumatico da mezzo pesante e dopo averlo riprodotto in marmo lo ha spinto a mano per le vie di Torino, con un certo sprezzo del pericolo (in caso di rovesciamento le scarpe con la punta di ferro non sarebbero servite a molto). Ha preso l'enfatica, inflazionata, leggermente ridicola definizione di «artista» e l'ha regalata al primo studente di accademia che passava per strada, siccome con scaltro understatement si fa chiamare semplicemente «scultore». Viale ha scelto di piacere non soltanto ai laureati con tesi su Derrida e infatti i suoi lavori attraggono perfino le persone normali. Popolare e pop, alla maniera di Claes Oldenburg, e inoltre barocco, visto che ogni sua opera sembra una parafrasi del Cavalier Marino: «Dello scultore è il fin la meraviglia...».

Tu sei la lampante dimostrazione che la scultura è lingua viva. E allora perché da settant'anni continuano a dire che è morta? Per caso non saranno un po' morti loro?

«Ci sono talmente tanti curatori da far credere che qualcosa di malato ci sia per davvero».

Disse Renoir: «Pittori se ne trovano ancora, qualche volta. Ma per essere uno scultore bisogna essere un santo». Tu hai l'aureola?

«Michelangelo è stato cacciato da Carrara a sassate: per resistere, nel mestiere di scultore, bisogna essere dei diavoli!».

Di Marina Abramovic ho letto la seguente affermazione: «Se una persona fa il pane in una panetteria, quella persona è un panettiere. Ma se qualcuno fa il pane in una galleria, è un artista». Condividi?

«Certo, ma sarà il mercato a trasformare quel pane in opera».

A proposito di mercato, trovo deprimente che oggi il valore di un artista sia determinato dal suo prezzo. Tu come vivi questa situazione?

«Penso che sia il criterio più valido perché è la conseguenza di tutti gli altri».

Esiste un'arte contemporanea italiana, ossia un'arte riconoscibile come tale? Oppure simili discorsi oggi non hanno più senso?

«L'Italia ha la sua cricca di artisti-galleristi-critici che cerca di fare sistema. Molti si somigliano anche nel modus operandi ma le ultime Biennali non mi sembra abbiano rivelato uno stile».

Dunque un artista italiano deve assolutamente esporre all'estero?

«Purtroppo non è semplice vivere in Italia ed esporre a New York. Per lavorare in quella città devi viverci».

Speravo che internet avesse ridotto il bisogno di spostarsi fisicamente... Hai mai pensato di trasferirti?

«I rapporti tra le persone devono essere diretti, i collezionisti amano vedere lo studio, il critico e i giornalisti vogliono parlare con l'artista... La grande città offre energia, ma richiede anche molti sacrifici in termini di qualità della vita. Mi piacerebbe andare a vivere a New York, magari tra qualche anno, anche se è difficile quando hai una famiglia».

Tu sei per «l'art pour l'art» o secondo te l'arte deve prendere parte?

«Mi piace quando le opere sono coraggiose e finiscono sui giornali. Credo che il mondo dell'arte abbia bisogno di confrontarsi col grande pubblico se vuole sopravvivere».

Una tua opera ad alto potenziale mediatico è senz'altro Lucky Hei, la Pietà avente fra le braccia, al posto di Cristo, un africano nero, che il 18 presenterai alla Galleria Poggiali di Milano.

«L'idea è nata guardando la Pietà da dietro: si tratta di una donna velata seduta su una pietra e mi è sembrato giusto, visti i tempi, dare un volto nuovo al Cristo e Lucky (il nigeriano cristiano, con tanto di croce tatuata sul braccio, che posa sulle braccia della madre) mi è sembrata la scelta più interessante».

Il pittore Daniele Galliano mi ha detto: «Quello che rimane nei secoli dei secoli sono le opere». Non la critica, solo le opere. Visto che usi il marmo, durevole per definizione, tu non dovresti avere problemi...

«Se vai a un'asta di antiquariato i capitelli in marmo dell'Ottocento vengono venduti a peso, perciò il materiale o il talento non servono. Rimarranno le opere che hanno una forte aura».

E qual è la tua opera dall'aura più forte?

«Souvenir Pietà, ispirata al Cristo della Pietà di Michelangelo ed esposta nella basilica di San Lorenzo vicino alle Tombe Medicee di Michelangelo. È una scultura che è andata oltre. Ha cambiato la mia carriera e perciò anche la mia vita».

Ti faccio una domanda che fa spesso l'intervistatore di artisti Hans Ulrich Obrist: hai nel cassetto un progetto irrealizzato e difficile da realizzare?

«Sto cercando di fare un automa di marmo, ma ho dei seri problemi con una molla di acciaio».

Tu, oggi è un caso raro, scolpisci personalmente le tue sculture.

«Purtroppo sì, la mattina mi sveglio, vado in studio e mi impolvero. Non perché sono volenteroso: se trovassi uno più bravo di me disposto a lavorare per me delegherei volentieri a lui».

Usi lo scalpello?

«Lo scalpello è rischioso, va usato il meno possibile. Uso principalmente la smerigliatrice dritta, un attrezzo su cui si montano delle punte abrasive che girano ad alta velocità».

Lo scrittore del presente o del passato sulle cui copertine, con immagini delle tue sculture, vorresti essere?

«Ho da poco dato ad Einaudi una foto per un libro sulla mafia».

Di un autore che tu apprezzi particolarmente?

«Di un autore che non mi ricordo».

L'autore (scrittore, filosofo, eccetera) che vorresti scrivesse un testo per un tuo catalogo?

«Trovo i testi una tortura. Quando posso mi piace infliggerli al mio gallerista Lorenzo Poggiali che ogni volta mi stupisce con parole nuove di cui non conosco il significato».

Cosa pensi delle cosiddette mostre blockbuster, quelle che mescolano Tutankhamon, Caravaggio e Van Gogh, e che Trione e Montanari trovano mostruose?

«Non ci vado, perciò non posso giudicare. Ma se fossero davvero mostruose ci andrei!».

Come mai l'italiano medio è così refrattario all'arte italiana contemporanea? Colpa dell'italiano medio o dell'arte italiana contemporanea?

«Dubito che un operaio investa 15 euro per andare a vedere Artissima».

Ma l'Italia è piena di benestanti che ignorano le mostre degli italiani viventi mentre i loro omologhi californiani fanno la fila per vedere Hockney...

«Sono rimasti scottati. Certe mostre italiane sono ridicole, viste con gli occhi di un professionista di un altro settore».

A proposito di Hockney, lui è un artista con piscina. Tu la piscina ce l'hai? Pensi che il benessere faccia bene all'artista oppure il pungolo del bisogno aiuta a produrre?

«Non ce l'ho, ma la vorrei. Però mia moglie è bionda e sembra molto ricca... A parte gli scherzi, essendo figlio di operai ho sempre avuto il coltello tra i denti: avere più o meno soldi è irrilevante se manca la volontà».

Montale diceva che non è più possibile essere grandi poeti bulgari. Considerato che il contesto italiano dell'arte è di livello quasi bulgaro, ritieni sia possibile essere grandi artisti italiani?

«Cattelan mi sembra uno molto famoso, direi che basta lui. Bisogna rassegnarsi».

Il personaggio famoso che vorresti ti collezionasse?

«Ovviamente il Papa».

Il personaggio famoso che ti colleziona davvero, a parte Umberto Cairo che ti ha elogiato sul Corriere?

«Due miei collezionisti sono stati arrestati per una truffa da centinaia di milioni di euro: temo che diventeranno famosi».

Perfetto! E come si chiamano?

«Meglio non dirlo, uno era il mio avvocato!».

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