Cultura e Spettacoli

Il viaggiatore immobile Borges torna a casa e ci fa leggere i segreti di Buenos Aires

Stefano Gallerani illustra tutti i luoghi che furono cari all'Omero argentino

Fabrizio Ottaviani

Volare in Argentina per visitare i luoghi più significativi dello scrittore di Finzioni: è quanto ha fatto uno dei nostri più accorti americanisti, Stefano Gallerani. Ne è venuto fuori un gustoso sillabario (dalla B di Buenos alla S di Aires) dalla doppia natura: è un'ottima guida turistica letteraria - del tipo, per intenderci, di quelle che Corrado Augias ha dedicato a New York o a Parigi - ma è anche una biografia di Lorge Luis Borges centrata sul rapporto con la città natale.

Rapporto trascurato, visto che Borges è stato ben presto inghiottito dallo stereotipo (alimentato in particolare da Umberto Eco) del cantore cieco e apolide, la cui patria sono i libri e la cui residenza è una biblioteca. Stereotipo ventilato dallo stesso Borges («constato con una specie di agrodolce malinconia che tutte le cose del mondo mi conducono a una citazione o a un libro») e riaffermato, per fare un esempio, dal premio Nobel Naipaul che gira il coltello nella piaga («racconta tutto per sommi capi, come nelle interviste») e fa di Borges un uomo di carta, un essere che avrebbe potuto nascere ovunque. Che quando parla di Buenos Aires, in realtà, la inventa. Andando contro le idee ricevute, in A Buenos Aires con Borges (Perrone, pagg. 142, euro 15) Gallerani riesce a radicare lo scrittore nelle comuni coordinate spazio-temporali, seguendone l'evoluzione intellettuale dall'epoca remota in cui credeva a tutto, «anche agli errori di stampa», a quella in cui la sua grandezza è universalmente riconosciuta. Si passano in rassegna gli incontri che hanno fatto la storia della letteratura argentina, a cominciare dalla sera del 1933 in cui Victoria Ocampo ingiunge a Borges e Bioy Casares, che si sono conosciuti da poco, di onorare l'irrilevante ospite inglese per il quale è stata organizzata la festa. «No sean mierdas, atiendan al invitado li apostrofa la Bellonci delle lettere argentine; ovvero, per usare un eufemismo, Non siate scostumati.... Per tutta risposta, i due lasciano la festa...».

Si visita l'isola, persa nel delta del Rio de la Plata, dove si uccise il poeta Leopoldo Lugones il quale, scriverà Borges, «avrà sentito per la prima volta nella sua vita che era libero dal misterioso compito di cercare metafore». Si entra nel bar in cui, nel marzo del 1975, si incontrarono Borges e Ernesto Sabato. «Da vent'anni le loro divergenze politiche, inasprite dai fatti successivi al colpo di Stato che nel 1966 aveva portato al potere il generale Juan Carlos Onganía e dal secondo mandato peronista (in seguito al quale Borges si era dimesso dalla Biblioteca Nazionale), li avevano allontanati, eppure, pochi giorni prima, mentre Borges firmava copie in una libreria, tra il pubblico c'era anche Sabato». Ancorare a terra la mongolfiera dell'Omero argentino consente a Gallerani il paradosso di scrivere un libro di viaggio per riportare Borges a Buenos Aires, cioè a casa sua; ma visto che con Borges i paradossi si moltiplicano, succede che ogni cosa improvvisamente si capovolga: difficile, infatti, dimenticare che l'Argentina è abitata per il 95 per cento da immigrati europei e che «se volessimo usare un'espressione politicamente non correttissima, potremmo dire che l'Argentina è un paese europeo più di molti paesi d'Europa».

Borges, dunque, aveva il diritto di considerarsi un europeo in esilio. Per lui, fra l'altro, era un vantaggio non essere vincolati «ad alcuna tradizione locale».

A quanto pare, l'inventore del postmoderno in letteratura non poteva che essere argentino.

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