Cultura e Spettacoli

Un viaggio riuscito nei misteri dell'animo

di Paul Verhoeven con Isabelle Huppert, Christian Berkel

Un viaggio riuscito nei misteri dell'animo

Già dalla scena iniziale si intuisce che quello che lo spettatore sta per vedere non sarà un film convenzionale. Michèle viene aggredita in casa da un uomo mascherato che la violenta, davanti allo sguardo indifferente del suo gatto. Una esperienza traumatica che destabilizzerebbe chiunque. Non lei, che reagisce in modo anomalo, glaciale, facendo (quasi) finta di nulla. Si rialza, getta via il vestito strappato e riordina la sala, buttando via i cocci di un vaso che si era rotto nella colluttazione. Poi, riprende la vita di tutti i giorni di imprenditrice di videogiochi, moglie separata, amante fiacca del marito della sua migliore amica, con madre che cerca l'eterna giovinezza nei toy-boy e un figlio ingenuo che sta per renderla nonna. Chi ha abusato di lei, però, sembra non essersi accontentato. La prende di mira, le manda messaggi, ci prova ancora; e lei, invece di chiamare la polizia, gestisce la cosa con la solita imperturbabile glacialità. Personaggio bordeline? No, maschera borghese che nasconde dolori profondi (il padre è un serial killer in galera), mai sanati, costruiti su reticenze, silenzi, ambiguità sessuali e morali, contraddizioni dell'animo. Tanto che, scoperta l'identità del violentatore, invece di denunciarlo, inizierà con lui una sorta di gioco (sado)masochistico. Solo una meravigliosa Isabelle Huppert poteva dare volto a un personaggio così complesso. Mai una volta sopra le righe, sempre perfetta, anche solo con l'espressione del viso, nel condurre lo spettatore all'interno di un viaggio nei misteri del comportamento umano. Una parte difficile che, non a caso, è stata rifiutata da diverse attrici americane. Paul Verhoeven, mai banale anche nei singoli dettagli, costruisce un grande film che sa essere duro e divertente, appassionante e dark. Lo fa, basandosi su una delle migliori sceneggiature degli ultimi anni, che non prova, finalmente, a fare la morale pedagogica a tutti i costi, lasciando all'intelligenza di chi è seduto in sala di arrivare a una sua personale presa di coscienza, come capita, nel finale, a Michèle. Questo è cinema allo stato puro.

Purtroppo, sempre più raro.

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