Cultura e Spettacoli

Buon verdetto per una buona rassegna

Miglior film «The Shape of Water» di del Toro con l'uomo-pesce. Argento a Legrand in lacrime

Buon verdetto per una buona rassegna

Previsioni più o meno rispettate. The Shape of Water, la favola visionaria di Guillermo del Toro, esce dunque con il Leone d'Oro, mentre al surreale Foxtrot, dell'israeliano Samuel Maoz, va quello d'argento, Gran Premio della Giuria. Sorprendenti per molti, ma non per noi, sono l'altro Leone d'Argento, per la miglior regia, a Jusqu'à la garde, di Xavier Legrand, che si aggiudica anche i 100mila euro destinati al miglior esordiente, e il Premio Speciale della Giuria a Sweet Country, di Warwick Thornton, western australiano e crepuscolare.

Charlotte Rampling, Coppa Volpi come migliore attrice, non fa gridare allo scandalo, perché Hannah pesa interamente sulle sue spalle, ma lascia comunque l'amaro in bocca per la bocciatura della straordinaria Frances McDormand in Three Billboards Outside Ebbing, Missouri. Quest'ultimo si aggiudica però il più che meritato premio per la miglior sceneggiatura. Giusta anche la Coppa Volpi maschile a Kamel El Basha, il cristiano libanese ferito nell'onore di The Insult.

Nell'insieme, è stata un buon Festival. Dei ventuno film in concorso, sono meno di una mezza dozzina quelli che non hanno corrisposto alle attese, segno che la selezione è stata mirata. Fra di essi, i capitomboli maggiore sono stati quelli di mother!, di Darren Aronofsky, e di First Reformed, di Paul Schrader, entrambi vittime di quel narcisismo autoriale che spinge i registi a trasformarsi in filosofi e/o predicatori. La giuria capitanata da Annette Bening è stata anche abile nel non cadere nella trappola umanistico-sentimentale del gigione Ai Weiwei e del suo Human Flow.

Questa 74° edizione ha dimostrato di essere in buona salute anche nelle sezioni Orizzonti così come nei Fuori concorso, con una felice alternanza di temi e di stili. Lo stesso Leone d'Oro alla Carriera, che ha visto premiati Robert Redford e Jane i Fona, ha rispecchiato lindirizzo che da alcuni anni Venezia ha imboccato: tenere conto del pubblico, e dell'immaginario collettivo di questa arte, cercare di non considerare le rassegne cinematografiche come un circolo riservato a pochi intimi e però non rifiutare di aprirsi ai percorsi più innovativi e alle prove d'autore.

Il resto lo ha fatto un Palazzo del Cinema rimesso a nuovo, la novità della realtà virtuale, la sezione Venezia Classici Documentari e quella dei Classici restaurati, quest'ultima con dei recuperi eccellenti, da Antonioni a Godard, da Ferreri a Walsh, che in molti casi, proprio per il sapiente lavoro di restauro digitale, si sono rivelati una sorpresa, dando nuova linfa a chi giustamente ritiene che il luogo per eccellenza dove vedere un film sia la sala cinematografica, il grande schermo.

Venezia, insomma, passati gli anni in cui sembrava di stare a Pechino, tanto era l'alluvione di film cinesi, e quella in cui più o meno goffamente si pensava di clonarla a Roma, ha ripreso il posto che le compete: è il più antico festival dedicato alla cinematografia, e ne ha la consapevolezza. Non ha la forza di Cannes quanto a mercato industriale, ma può controbattere efficacemente quanto a qualità.

Abituati al vittimismo e all'autoflagellazione, un po' di trionfalismo a volte non guasta.

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