Cultura e Spettacoli

Vuoi andare a un festival? Allora compra un libro

Gli «eventi» letterari sono sempre un successo, ma si vende poco. Forse meglio fare come negli Usa...

Vuoi andare a un festival? Allora compra un libro

C'è un fenomeno che negli ultimi due decenni ha avuto un indubbio successo in Italia: i festival. Festival di ogni sorta, natura, oggetto. Nei luoghi più disparati, in ogni stagione. Sino a qualche anno fa la parola festival veniva associata a poche e riconosciute manifestazioni, perlopiù di arti musicali, visive o performative: Venezia, Cannes, Berlino; Spoleto, Taormina, Avignone; e Bayreuth, Sanremo, il Festivalbar eccetera. Oggi no, i festival sono divenuti centinaia, ed è un fenomeno soprattutto italiano. È il nostro Paese il luogo dove questo genere di manifestazioni è esploso, e il successo non sembra ancora conoscere cali di tensione. Si è andati ben oltre la cerchia di cui si diceva poco fa, se ne contano di ogni tipo, letterari, musicali, gastronomici, di economia, di filosofia, di turismo, sport, satira, fumetti, spiritualità, sociologia, antichità, ormai su qualsiasi tema e di qualsiasi livello. Un calcolo preciso è difficile ma si stima che fra grandi e piccoli siano oltre un migliaio.

Il padre di tutti i festival letterari viene considerato Hay-on-Wye, piccolo villaggio gallese di poco più di 1.500 abitanti, con una storica alta densità di librerie. Lì la famiglia Florence nel 1988 varò una manifestazione primaverile - fatta di incontri e presentazioni e letture - che nel tempo è cresciuta in modo esponenziale, attirando sponsorizzazioni importanti e presenza dei media. E grandi nomi delle lettere mondiali. E soprattutto librerie, che è forse il punto più significativo.

Si è citato Hay perché è l'archetipo che ha spinto sulla stessa strada un gruppo di cittadini - e librai - mantovani nell'ormai lontano 1997. È allora che nasce quello che è a sua volta divenuto un apripista, un modello, il Festivaletteratura di Mantova, probabilmente il più importante appuntamento italiano. Alla prima edizione parteciparono 200 scrittori e artisti, con un pubblico di circa 15mila persone. Nel 2018 gli scrittori e gli artisti sono stati 330, 62mila i partecipanti degli incontri a pagamento, ai quali vanno aggiunte altre 60mila persone che hanno partecipato agli eventi gratuiti (...).

Sul successo dei festival italiani le analisi abbondano, e sono della natura più diversa, culturale, sociologica, economica. Analisi diverse proprio perché il fenomeno ci sembra unire differenti spinte. Bisogno e piacere dell'aggregazione e del coinvolgimento, partecipazione a un mondo con uno status riconoscibile, visita di luoghi di grande qualità, ma anche spettacolarizzazione della cultura e possibilità di avvicinare il pubblico ai protagonisti del mondo letterario e artistico. Chi va ai festival può vedere da vicino e qualche volta confrontarsi con gli scrittori che legge, che ama, è una sorta di esperienza diretta e immediata di approfondimento, nella quale ci si può appunto sentire parte di una comunità che condivide le stesse passioni e gli stessi interessi. È in fondo un fenomeno non dissimile da quello dei concerti, dei live musicali, dell'incontro fisico. Confrontarsi fisicamente, incontrare persone, esperti, protagonisti, resta un'esperienza insuperabile, che da un lato è parte del modo in cui gli esseri umani sono fatti, agiscono, dall'altra è probabilmente stimolata proprio dalla dematerializzazione che caratterizza la nostra epoca.

Tutto bene dunque? Sì e no. Sì, senz'altro, se si ragiona all'interno della comunità che frequenta questi luoghi, che trova occasioni e opportunità, si ritrova, cresce. No, se ci si spinge su un territorio differente, quello dei più generali consumi culturali italiani, in particolare sulla lettura, sulle librerie, sui libri venduti. I dati, inutile ripeterli, sono sconfortanti. E allora resta attuale il sasso nello stagno lanciato qualche anno fa da Giuseppe Laterza: benissimo questo proliferare di festival culturali, questa bella aggregazione, ma allora perché non si riesce ad allargare il bacino dei lettori, si vendono pochi libri e pochissimi giornali, e le librerie chiudono, in qualche caso persino nelle città o cittadine nelle quali si svolgono festival letterari di successo?

Domande inaggirabili, che possono suggerire una risposta: i numeri sono buoni, ma resta un fenomeno di minoranze, minoranze virtuose, ennesimo volto dell'eterno deficit culturale italiano, che ritroviamo in tutte le ricerche e i numeri sui consumi culturali del nostro Paese. Insomma, nei festival si predica ai convertiti. Si arricchiscono i benestanti.

È utile riportare ciò che la letteratura suggerisce per la riuscita di un festival. I festival riusciti - è un punto abbastanza condiviso - sono quelli che negli anni sono stati capaci di consolidare una base di partecipazione, volontariato e sostegno da parte della popolazione locale, mentre sono numerosi i casi di fallimento di progetti editoriali calati dall'alto, privi di radici territoriali. Non a caso la ricerca mostra come non ci sia correlazione tra budget e impatto economico. Ci sono infatti festival che hanno investito molto senza riuscire ad attirare pubblico, con un rapporto costi/benefici negativo. C'è chi invece è riuscito ad attivare multipli molto alti, sino a 8-9 volte per euro investito, anche senza grandi investimenti. I prodotti editoriali maturi hanno insistito sulla qualità dei palinsesti, consapevoli che la fase di assestamento di un festival coincide con il suo settimo-ottavo anno di vita, registrando un'adesione da un anno all'altro del 90-95%. Dalle ricerche si scopre che in Italia ci sono rassegne di grande qualità e successo con budget limitati - 100-150mila euro - perché il lavoro volontario pesa per l'80%. Una struttura di professionisti a tempo pieno, per tutto l'anno, sembra però un elemento essenziale per far sì che il sistema regga nel lungo periodo.

Quanto al numero di visitatori, al di là dei numeri dei grandi festival, non è semplice arrivare a dati certi, soprattutto perché nella maggioranza dei casi l'ingresso è gratuito. In media siamo attorno alle 50mila presenze.

C'è un ultimo aspetto da segnalare. E non trascurabile. Ciò che i festival significano per editori e scrittori. In questo caso l'impatto varia molto, e dipende dalla notorietà del festival e dall'affluenza di pubblico. Sono però obiettivi market movers, specie se si pensa al complessivo sistema dei festival. I festival sono divenuti, assieme ai social media e ai social network - non proprio secondari... - la vera novità del lancio editoriale di oggi. Sino a qualche decennio fa la promozione di un libro passava soprattutto attraverso il ristretto e selettivo imbuto delle recensioni su carta stampata. Oggi è tutto diverso. Sia per la crescente centralità dei media audiovisivi, sia per il prepotente affermarsi dei cosiddetti new media figli della rivoluzione digitale. Accanto a quest'ultimi in anni recenti hanno preso forza gli incontri, le presentazioni, le file per le copie firmate, forme anche criticabili di personalizzazione e in qualche caso divismo. Fatto sta che editori e scrittori continuano a frequentare questi circuiti. Gli scrittori sono anzi protagonisti di vere e proprie tournée, che prevedono spesso decine e in qualche caso centinaia di incontri, anche non propriamente letterari - infinite sono le strade della promozione... con il rischio che il libro si riduca a mero pretesto - e all'interno di questa corona i festival rivestono un ruolo molto importante e ambito. Fanno vendere libri, incrementano il passaparola, permettono talvolta incontri tra autore e lettore che non dico possano cambiare la vita ma forse accendere qualche scintilla.

L'importante, mi pare, è che il libro resti l'oggetto centrale degli incontri e della riflessione, e la lettura non venga sovrastata dall'apparato circostante e dal versante spettacolare e conviviale.

Non è un caso che spesso negli Stati Uniti per partecipare alle presentazioni occorra prima comprare il libro, e si suggerisca a chi vuole fare una domanda al termine della presentazione di essere asciutto e mettere un punto interrogativo al termine della frase.

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