Cultura e Spettacoli

Walter scopre i Siti dove si nasconde la falsa "Bontà" del mondo editoriale

La decadenza culturale ritratta dal vivo Fra salotti, moralismo, cinismo e invidia

Walter scopre i Siti dove si nasconde la falsa "Bontà" del mondo editoriale

Mentre nelle librerie arriva l'antologia Maestro Severino (Belleville Editore) in ricordo di Severino Cesari, morto il 25 ottobre dell'anno scorso, editor indimenticato di Einaudi, fondatore di «Stile Libero» e autore del romanzo Con molta cura (che abbiamo scoperto proprio su queste pagine quando era ancora un racconto quotidiano sulla sua bacheca Facebook e pubblicato postumo da Rizzoli) in libreria arriva un «racconto lungo» di Walter Siti, Bontà (Einaudi) che come tema centrale ha proprio la vita di un editor, quella figura spesso sconosciuta, soprattutto in Italia, che in ogni casa editrice è destinato a intervenire su ogni libro in pubblicazione per renderlo migliore, maggiormente appetibile ai lettori e al mercato.

In Maestro Severino sono raccolti i ricordi dei tantissimi scrittori che hanno collaborato con Cesari: testimonianze spesso commoventi, come quella di Niccolò Ammaniti, che ci restituiscono la vita di un uomo gentile, educato (in un mondo editoriale italiano che sembra aver sostituito l'educazione con l'arrivismo) e di un professionista capace di far cantare anche le virgole, di rendere migliori gli autori che assisteva con «molta cura» ma soprattutto di trasmettere un amore infinito per la letteratura.

E se Severino Cesari è stato uno degli ultimi editor di uno spessore umano e professionale unici, Bontà di Walter Siti ci racconta di un mondo editoriale molto simile alla realtà: lontano da ogni sentimentalismo e da ogni opportunismo Siti scava oltre la melassa dei consensi degli scrittori nei confronti delle case editrici e nei confronti di autori «intoccabili». Siti, in questo che è uno dei suoi libri più riusciti, racconta come noi tutti stiamo naufragando alla deriva dei sentimenti: incapaci ormai di conoscere il desiderio, l'abbiamo sostituito con il bisogno. La vicenda del protagonista ruota intorno a questa tematica che, anche se in molti non se ne avvedono, è centrale anche nella vita di tutti noi. Narrando la storia di uomo apparentemente disincantato, cinico, spietato anche con se stesso e con i propri fantasmi, incapace di confessare non agli altri, ma a se stesso, un'omosessualità che lo logora, come se fosse, anche adesso che ha 75 anni, una colpa da lavare con il peccato. Il protagonista Ugo sembra potersi perdonare solo cadendo in un vortice di incubi non solo notturni che lo portano a disintegrare la propria esistenza in gorghi di apparente dissolutezza che sono soltanto lo specchio dei tempi per chi crede che l'unica vera umana indagine sia cercarne i luoghi oscuri.

Ugo è un uomo tormentato non dalla croce, ma dai chiodi. E c'è molto di cristiano in questo. Ugo, però, è anche un editor senza scrupoli perché il mondo editoriale non ha scrupoli. Soprattutto per chi fa il suo mestiere. Come quando scrive: «il fallimento come scrittori in proprio è il tumore inconfessato di molto editor» oppure quando si scaglia contro gli scrittori che usano la solidarietà come «altruismo da fiera e da salotto» con le loro «schitarrate sui diritti umani» o come «gli autori che impostano un romanzo già pensando al film sarebbero più stimabili se non si ritenessero guide morali o guru» (impossibile non pensare a Roberto Saviano). E se da una parte il protagonista pensa che «la luce in fondo al tunnel, il salto di paradigma, ecco il compito della cultura in un momento complesso di transizione», dall'altra assiste a una letteratura dove a trionfare sono i polizieschi, i noir: «te lo dicono proprio in faccia, ciò messo dentro un delitto per dare vivacità alla trama, oppure gli omicidi sono un pretesto per descrivere l'ambiente. Ma un omicidio è una cosa enorme, come ti viene di costruirci sopra un giochetto? E se vuoi descrivere un ambiente, perché qualcuno deve morirci? Se nella società cova voglia di morte, per favore non fabbricateci sopra il nostro intrattenimento». Ugo vede nella paura del proprio decadimento quello dell'editoria contemporanea. Come quando lamenta che non esiste la massa critica e «vedrai facciamo la fine della Rizzoli... Cairo vabbè, cento uscite l'anno se le può pure permettere, cià le truppe cammellate del Corriere della Sera da estorcergli contratti quasi gratis...».

E se «desiderare come un disperato la bellezza è stato il solo eroismo della sua vita», quella del protagonista, lo è forse anche quella di un'editoria contemporanea che ha scambiato la «bontà» per una falsa epopea di una melassa sentimentale dove sono tutti perdenti perché in apparenza sono tutti vincitori.

Commenti