Cultura e Spettacoli

La rivelazione Y’akoto: "Nel mio pop le tracce di una vita da nomade"

Con "Without you" conquista le radio. E il cd "Babyblues" è un incrocio di tanti stili etnici

La rivelazione Y’akoto: "Nel mio pop le tracce di una vita da nomade"

Poi si ferma e dice: «È così bello essere senza pace». Y'akoto è una rivelazione. Bella, altissima, solare: e pure ispirata. Il suo brano Without you gira in radio che è un piacere. E lei è arrivata a Milano a cantare veloci concertini per il Salone del Mobile con sottobraccio il suo primo disco Babyblues, che è registrato alla vecchia maniera: con passione. Pop etnico, si potrebbe dire. Con tanti riferimenti al passato e a latitudini remote. «Dopotutto la mia natura è questa: sono figlia di due mondi diversi e da quando sono nata cerco di mescolarli».

Y'akoto (accento sulla ultima o) in realtà si chiama Jennifer Yaa Akoto, è figlia di un ghanese e di una tedesca e solo per caso è nata ad Amburgo. In realtà ha vissuto nel Ghana passando poi per il Camerun, il Togo, il Ciad e la Francia prima di tornare ad Amburgo con tutto quel po' po' di esperienza. «Nella mia prima band, a tredici anni, cantavo musica rock mescolata al funk, al reagge e al soul. Poi, a sedici anni, sono passata all'elettronica perché penso che comunque ogni canzone debba saper esplodere nota dopo nota». Ora che ne ha ventitre ha scodellato le nuove canzoni che dimenticano la bellezza della cantante per vivere di vita propria. A metà tra gli azzardi di Nina Simone e l'imprevedibilità di Erykah Badu: «Quando ho ascoltato il suo primo disco Baduizm avevo dodici anni e sono impazzita. Lei è Bjork erano i miei idoli ma ora, che ormai faccio questo mestiere da quando sono nata, mi sento più vicina alla prima. Forse perché, che pazzia!, ho fatto da supporter a un suo concerto a Stoccarda nel 2011. Mi tremano le gambe ancora ora, se ci penso». Y'akoto non fa tanti complimenti: è diretta, dolcemente brutale, e il suo sguardo non ammette repliche. «Una volta ho incontrato per strada una donna Sinti che mi ha fissato per qualche istante e poi ha detto: “Tu non hai l'anima, l'hai persa e la stai cercando”. Quella frase mi ha sconvolto e cambiato la vita. Forse per questo quasi mi arrabbio se qualcuno definisce “soul” la mia musica perché la mia musica è una costante ricerca di “soul”, di anima, la mia».

Ecco perché è «senza pace». Ha il furore ingenuo dell'esordiente e l'entusiasmo di chi ha esordito bene, benissimo. «Il cuore della mia musica è la mia voce ma non è nella voce il vero significato della mia musica», spiega lei, un po' contorta. Si spieghi, allora: «Non canto mai per farmi dire quanto è bella o per ricevere un applauso. Potrei cantare per cinque ore e, forse, ricevere tanti applausi. Ma io sogno soltanto che le mie parole sorpassino le orecchie e arrivino direttamente al cuore». Quando parla, è radiosa e manco si accorge di ciò che le gira intorno. Quasi folgorata. «Preferisco essere libera e rimanere creativa piuttosto che perdere tutto e diventare famosa», spiega parlando a cento all'ora e agitando le due lunghe mani con le unghie smaltate di rosso fuoco. Ma forse chi diventa realmente famoso, e lo rimane, è proprio perché non ha barattato l'indipendenza con la popolarità: «È ciò che penso anche io ma sapessi quanta fatica, quante porte in faccia, quanti pregiudizi».

In fondo tutto il disco corre su questa sottotraccia: il conflitto tra l'idea e la realtà. Anzi, lo scontro tra ciò che tutti ritengono essere una giusta idea e quella che ognuno scopre essere una ingiusta realtà. «Sono ossessionata dalla guerra, ma come è possibile che, ancora dopo millenni, gli uomini non abbiano ancora smesso di farla?». Domandone. In Tamba c'è la tragedia di un ragazzino che in mezzo all'Africa si ritrova a fare la guerra pieno di armi e violenza. E in Moving c'è la voglia di essere indipendenti a qualsiasi costo. «Io non mi fermo e guai a chi mi obbliga a farlo», sorride minacciosa lei. E il lato da bluesgirl mitteleuropea, misteriosa e imperscrutabile, viene fuori appunto in Babyblues, che è blues sublimato dal ritorno alle origini. «Il blues si era impossessato di me e non è stato facile riuscire a domarlo anche se poi ci sono riuscita». E giù una risata di quelle rotonde e squillanti dell'anima candida che si affaccia al mondo sperando di conquistarlo con quanto ha di più caro: la musica. «Se dio vorrà», dice lei sapendo, forse, che queste canzoni hanno già preso l'ascensore per diventare dei classici.

Datele solo tempo, giusto un po'.

Commenti